Diamo i numeri – quelli veri

La mia scrivania, perché oggi davvero non sapevo che immagine associare a questo post.

La mia scrivania, perché oggi davvero non sapevo che immagine associare a questo post.

Quando ho iniziato questo blog, mi sono posto come obiettivo di coprire tutte le tematiche inerenti all’editoria, senza dare nulla per scontato. C’era, però, nella mia testa, una cosa che credevo fosse chiara ai più, perfino tra i lettori, ma che invece da recenti commenti capisco di dover sviscerare in modo analitico. Tenetevi forte all’orlo della sedia, perché è di quelle verità che potrebbero far vacillare tutte le vostre certezze sull’Universo. Pronti?

Non siamo noi editori a decidere quante copie di quali libri vanno in quali punti vendita.

Siete ancora lì? Lo so, lo so, è dura.
Ironia a parte, ecco come va. In questi giorni stiamo preparando le informative sulle uscite dell’autunno, diciamo fino a novembre. Nel prossimo paio di mesi, i dati su tutti quei libri verranno resi disponibili al canale delle fumetterie apparendo sui cataloghi dei distributori, e a quello delle librerie generaliste venendo presentati ai librai dalla nostra rete di promotori.
Nel primo caso, i gestori delle fumetterie, sulla base delle richieste della clientela e applicando correttivi dovuti al buonsenso e alla previsione di vendita di specifici titoli, faranno ai loro distributori di riferimento l’ordine, che poi verrà comunicato a noi, ed evaso dai distributori all’uscita del libro. Questo numero, per inciso, non lo sappiamo mai in tempo perché possa influenzare la tiratura e, come leggerete tra poco, è comunque così esiguo che potrebbe al massimo dissuaderci dallo stamparlo, il libro.
Nel secondo caso, i promotori, coadiuvati dal nostro Direttore Commerciale, presenteranno le “cedole” con i titoli ai singoli librai, ma soprattutto ai buyer delle catene, che decidono l’acquisto nazionale per i loro punti vendita. Ci vorrà poco meno di due mesi per sapere in che quantità i vari titoli usciranno in tutta Italia. Noi, su questa quantità, non abbiamo alcuna voce in capitolo. Chi non vuole ordinare un libro, non lo ordina, come è suo diritto.
Nella data in cui il libro esce, le quantità destinate alle fumetterie spesso finiscono direttamente nelle “caselle” dei clienti regolari, senza passare per gli scaffali. Trattandosi di vendite in conto assoluto, quindi senza possibilità di reso, giustamente i negozianti non rischiano su titoli nei quali non credono, e riordinano solo se qualche cliente chiede loro di farlo.
Nelle librerie generaliste, che hanno diritto al reso, a volte un titolo, magari inizialmente ordinato in quantità esigue, si esaurisce e non è detto che i responsabili della libreria lo riordinino subito. Non è neanche detto che lo riordinino proprio; a volte sono contenti di aver venduto qualcosa, invece di doverlo rendere. Più spesso, hanno semplicemente così tanti titoli in negozio da non riuscire a rendersi conto dell’esigenza di riordinare tutto ciò che va esaurito.
Facciamo un esempio pratico. A fine giugno è uscito Cuori solitari, di Cyril Pedrosa. Portugal, il suo libro precedente, è quasi arrivato a cinquemila copie di venduto. La prima tiratura, di duemilacinquecento copie, è andata esaurita in sei mesi. Se il numero vi sembra piccolo, tenete presente che si tratta di un volume da 27 euro, grande e voluminoso. Non era scontato che avesse un tale successo e noi ne siamo molto soddisfatti.
L’ordine iniziale di Cuori solitari, per tutta Italia, delle fumetterie, è stato di 270 copie. Duecentosettanta. Il “lancio” iniziale nelle librerie generaliste, per tutta Italia, tra librerie indipendenti e catene, è stato di 630 copie. Totale, novecento copie. Il volume ha avuto una tiratura di quattromila copie, e sono convinto che prima della fine dell’anno le avremo terminate o quasi. Ma al momento ne abbiamo piazzate (non posso dire vendute, perché ce ne sono seicentotrenta che potrebbero generare dei resi) novecento. E per pareggiare i costi, tra anticipo e stampa, ne dobbiamo vendere 1700.
Secondo voi, se potessimo influenzare i numeri delle uscite, non lo faremmo?
Premesso che è un libro molto bello, di un autore ormai amato e apprezzato, sono certo che se avessi potuto forzare il lancio per coprire le ottocento copie che mi mancano al pareggio, non si sarebbero generati resi in più.
Invece dobbiamo lavorare virtuosamente con il passaparola e l’azione metodica dell’ufficio stampa. Facciamo libri matericamente molto belli, quindi spesso chi li vede in mano agli amici li desidera e finisce con il comprarli.
Se però aspettiamo che un cliente passi in fumetteria e se ne innamori vedendoli sullo scaffale, potrebbe non succedere mai. Anche perché al momento nessun distributore del circuito delle fumetterie fa vera promozione sui punti vendita, mandando agenti il cui compito sia di sensibilizzare i commercianti affinché facciano ordini più sostanziosi. In assenza di questa azione, anche offrire il diritto di reso (l’abbiamo fatto. Puro e semplice. Senza tranelli o giri di parole. Possibilità di rimborso, non di cambio merce. Non ha cambiato gli ordini di una sola unità) non convincerà i titolari di fumetterie a prendersi in casa più copie di qualcosa su cui non sono, non si sono o non sono stati convinti. Oltretutto, sappiatelo, quando dopo l’uscita di un libro ci scrivete per dirci “L’ho ordinato alla mia fumetteria, ma non è mai arrivato”, apprezziamo queste informazioni, e in genere cerchiamo di capire che cosa sia successo, ma il disservizio non dipende mai da noi (tranne in casi eclatanti di tirature rapidamente esaurite), ma da meccaniche spesso farraginose e incontrollabili che, dopo quindici anni che faccio questo mestiere, nessuno è ancora riuscito a spiegarmi o motivarmi in modo chiaro).
Nelle librerie generaliste, il problema è che anche quando ci accorgiamo che in un punto vendita manca qualche nostro titolo, non possiamo costringere chi si occupa degli approvvigionamenti a comprarlo. Quando un libro va molto bene, abbiamo un po’ di possibilità con le catene: magari un certo negozio aveva ignorato un titolo, ma a livello nazionale è andato bene. È facile in questo caso sensibilizzare il responsabile acquisti affinché faccia un nuovo ordine. Altrimenti, sui singoli punti vendita, non è che possiamo sperare che la frase “È un libro stupendo, vedrai che lo vendi di sicuro” sortisca qualche effetto, lo capirete.

La situazione è questa: in Italia ci sono circa duecento fumetterie. Ricevono centinaia di novità al mese e fare gli ordini e i riordini è diventato un mestiere a sé stante, per chi le gestisce, anche per via della crescita dell’offerta avvenuta negli ultimi anni (a fronte di una clientela e di un lettorato che non sono cresciuti di pari passo, quindi si vende meno di ciascun titolo).
Il mercato librario è in crisi stabile da anni. Quest’anno chiuderanno venti librerie Feltrinelli, per dire, e non è che il caso più eclatante. È pur vero che le nicchie editoriali sono in crescita (religione, fumetto, viaggi e tempo libero e gift box sono i settori in maggior crescita dell’ultimo quinquennio), ma in assenza di una corretta opera di sensibilizzazione da parte delle reti di promozione e degli stessi editori la diffusione di certe opere resterà difficile. Contate poi che in tutta Italia le librerie che dedicano uno spazio serio al fumetto sono meno di duecento.

Noi la sappiamo a memoria, la lista delle fumetterie che tifano con entusiasmo per noi e hanno sempre copie delle nostre opere a scaffale. Ma non la sbandieriamo, per non penalizzare la loro concorrenza, perché stiamo operando affinché TUTTI i punti vendita possano, senza rischiare l’osso del collo, avere tutto ciò di cui hanno bisogno, tra i prodotti BAO. È un procedimento lungo, costoso per noi, che ci vede lottare contro i danni della crisi economica, il timore per il futuro dei commercianti, lo scetticismo delle reti promozionali, la pigrizia di alcuni soggetti lungo la filiera e perfino le politiche di sabotaggio di alcuni soggetti interessati a limitare la nostra crescita. Da un paio d’anni a questa parte, nessun volume BAO non pareggia i conti. Solo che arrivare a quel rassicurante livello di vendite è uno stillicidio, un lavoro lento e paziente, che se noi potessimo renderemmo molto più veloce. Ne va della nostra sopravvivenza, in fondo.

L’editoria è l’arte di bilanciare pazienza e incoscienza.

 

 

 

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I falsi miti dell’editoria digitale

Da anni, nel campo del Fumetto, in Italia si parla di due cose-fantascientifiche-che-sarebbe-tanto-bello-che-fossero-vere-ma-non-succederanno-mai. Una è la possibilità che si crei un vero, sano mercato di opere a fumetti nelle librerie generaliste e l’altra è il mercato dei fumetti digitali.
La prima è già diventata realtà, e in qualche modo BAO ne è corresponsabile. Vi pare tanto probabile che la seconda resti nel regno delle ipotesi a lungo?
Io non sono un purista dell’esperienza tattile della lettura. Credo che il mio amore per i libri fatti bene sia manifesto nelle scelte di produzione e confezione dei volumi di cui sono editore, ma da lettore sono grato a tutto ciò che mi permette di leggere di più, più spesso.
Ben vengano, dunque, i fumetti fruibili su tablet, e-reader e computer.
In altri paesi europei si fa un gran parlare, nella comunità degli autori, della ripartizione degli utili sulle edizioni digitali. Parecchi editori hanno cercato di imporre ai loro autori le stesse percentuali previste sulle edizioni cartacee, che però comportano un rischio di impresa molto più alto. Giustamente, c’è stata una levata di scudi: gli autori desiderano una percentuale più alta dei profitti sui download. È sacrosanto, e BAO da sempre ha un piano di royalties molto equo, per queste cose, ma è importante che si sappia anche che le piattaforme che commercializzano le nostre edizioni digitali si tengono dal 40 al 55% del prezzo di vendita, ma soprattutto che convertire i fumetti in digitale non è affatto un procedimento scontato e a costo zero.

Per farvi capire che cosa comporta, ho fatto qualche domanda ad Andrea Petronio, che oltre a coordinare i titoli americani, in BAO, è il nostro Digital Contents Editor.

Andrea alle prese con il benchmarking dei titoli digitali BAO su diversi dispositivi.

Andrea alle prese con il benchmarking dei titoli digitali BAO su diversi dispositivi.

Andrea, ci descrivi le operazioni che effettui e coordini per trasformare gli impianti di un libro stampato nei file venduti dai vari portali digitali?

Ci sono diverse operazioni e cambiano a seconda dei portali.
Piccola premessa: molte delle cose che descriverò, come ben sai, le ho dovute imparare sul campo e tuttora non mi sento un esperto in materia.
La prima grossa differenza è tra i file per Kindle (in vendita su Amazon, se mai ci fosse bisogno di scriverlo) e quelli per Google Play, iBooks e KOBO.
I file .mobi per Kindle richiedono l’elaborazione registica di un .pdf in alta risoluzione attraverso KC3 (Kindle Comic Creator, programmino gratuito che si può scaricare da Amazon) che permette di creare riquadri di ingrandimento di una o più vignette allo scopo di leggere meglio i balloon nella pagina per dare la miglior esperienza di lettura possibile.
Quando c’era da fare questo tipo di file chiedevo a Lorenzo (il capo grafico) – e ho la fortuna di lavorare nella stessa stanza dei grafici – di estrapolarmi una cartella con i materiali necessari alla conversione dell’impaginato di stampa per il formato digitale.
Il primo libro che abbiamo convertito è stato La Profezia dell’Armadillo di Zerocalcare; dopo aver visto i risultati e dopo aver ricevuto complimenti su questa “kindleizzazione”, abbiamo insegnato a Enrico (il grafico esterno che ora converte la maggior parte dei nostri titoli per Kindle) come usare il programma e di trasmettergli un po’ del mio gusto registico. Il mio lavoro su questi file attualmente si limita alla supervisione del lavoro di Enrico e alla conversione dei testi in prosa, nei quali ogni piccolo errore richiede di dover rifare quasi l’intero libro per evitare di far apparire dei simboli incongrui in corrispondenza di accenti e apostrofi (a chiunque guardi serie in streaming sarà capitato di vedere che non vengono usati accenti o di vedere delle serie in cui proprio le parole accentate appaiono contaminate da glifi incomprensibili… bene, su Kindle il problema è lo stesso e va affrontato per bene perché, a differenza dello streaming, il lettore ha pagato e vuole un prodotto di qualità.)
Per gli altri portali i file che devo preparare sono dei “semplici” ePub… che ti assicuro che tutto sono tranne semplici. Su InDesign c’è un pulsante che ti fa credere di poter convertire in ePub il tuo impianto di stampa semplicemente con un clic del mouse… e invece non è così! Il risultato di quel CLIC è un insieme non omogeneo di immagini e di testo e ogni volta che chiedevo ai vari interlocutori (Google, KOBO, iBooks, forum vari) come poter aggirare questo problema mi sentivo dire che dovevo rivolgermi a siti che svolgono questo servizio a pagamento.
Qui – metto le mani avanti io – non sono sicuro che in qualche modo non si possa convertire senza problemi direttamente da InDesign, senza dover ritoccare il codice html dell’ePub stesso e altre operazioni simili… so solo che attualmente non ci riesco e mi affido a un piccolo escamotage che però richiede diverse ore del mio tempo in proporzione al numero di pagine del libro in questione (Nemo – Cuore di Ghiaccio = una mattinata, Strangers in Paradise = 1 giorno e mezzo circa).
Per questo tipo di file chiedo direttamente il pacchetto di stampa a Lorenzo che, avendo tutto in quella cartella, mi permette di caricare direttamente su FTP le cartelle compresse per Enrico, così da interromperlo il meno possibile (fidatevi, quell’uomo non si ferma un momento e sì, ovviamente mi ha pagato in liquirizie per scriverlo).

In percentuale, quanto tempo della tua settimana lavorativa è dedicato a queste operazioni?

Negli ultimi mesi, grosso modo da metà febbraio, sto cercando di convertire in ePub tutti i titoli che avevamo già reso disponibili sullo store Kindle. Questa è un’operazione necessaria per completare la nostra offerta su tutte le piattaforme digitali e, come ho detto prima, una volta che crei un ePub puoi caricarlo su Google Play, iBooks e KOBO (con diversi passaggi per caricare i metadati, ovvero le informazioni pertinenti a ogni singolo titolo). In media, a settimana, alternando riletture da editor e lavori a supporto dell’attività dei grafici, passo almeno quattro/cinque ore al giorno a convertire gli impaginati in ePub e a supervisionare il lavoro di Enrico. Quando mi sarò messo in pari probabilmente potrò dedicare qualche giorno in meno a questa mansione dato che solo al completamento di ciascun nuovo libro (ovviamente se mi ricordo di chiedere a Lorenzo gli impianti di stampa in tempo…).

Quanti titoli ha BAO già disponibili in digitale, e quanti prevedi di renderne disponibili nel 2014?

Allora… su Kindle il nostro catalogo vanta al momento 48 titoli, mentre sul fronte ePub sono poco meno di 40 (ogni store ha tempi diversi per rendere disponibili alla vendita i file, da questo deriva la discrepanza relativa al numero). Rispetto al nostro catalogo che ha all’attivo molti più libri, la disponibilità digitale dipende dai contratti che vengono stipulati con gli autori o con gli altri editori. Purtroppo non sempre si ha la possibilità di convertire in digitale e rendere più leggere le nostre borse e più vuote le nostre librerie fisiche.
Quest’anno, come io e te sappiamo, ci sono in produzione 78 titoli… tutti, ma proprio tutti, avranno una loro versione digitale. La seconda metà del 2014 sarà molto lunga. (Anche per te, Enrico, so che stai leggendo, preparati!)

C’è interazione tra te e i lettori delle edizioni digitali? Che tipo di feedback ricevi, di solito, e come sono considerati i nostri titoli?

Un’interazione diretta no. Mi vengono passate però delle mail in cui, giustamente, ci viene fatto notare che ci sono dei problemi nella visualizzazione di qualche nostro titolo o che non riescono a visualizzare il prodotto come disponibile per il loro device (un esempio su tutti: XXXX non è disponibile nell’applicazione Kindle per iPad, come mai?). Il mio compito in quei casi è contattare direttamente Amazon oppure, in caso di problemi relativi alla qualità, mi occupo di risistemare il file .mobi e di capire come mai un pannello di zoom o un pannello di testo si sia corrotto nella convalida del file.A parte i complimenti che mi fece Amazon agli inizi, leggo sulla nostra pagina Facebook un apprezzamento positivo, del lavoro mio e di Enrico, a quasi ogni post relativo ai prodotti digitali e anche chi scrive per far notare errori o problemi lo fa senza astio nei nostri confronti (insomma, non riceviamo mai commenti del tipo: “CAZZO FATE!!!???111?1?!?”) e la cosa non può che fare piacere.

Insomma, qui in BAO convertire con cura i libri per le piattaforme digitali costa più o meno la metà dello stipendio di un editor e la parcella di un tecnico esterno. Il mercato sta crescendo, come è giusto che sia, in molti casi grazie a lettori che desiderano investire nelle nostre opere, ma hanno o un problema di spazio in casa o il desiderio di spendere meno per leggere un certo fumetto. La nostra previsione è che nel 2015 le vendite digitali varranno, nel nostro bilancio, quanto le vendite del nostro stand a Lucca Comics. L’importante, per noi, come per ogni aspetto del nostro lavoro, è poter lavorare al massimo livello qualitativo, con piena soddisfazione dei nostri autori. Che il risultato si tocchi o si sfogli su un touch screen, poco importa. L’importante è portare più fumetti nella vita della gente.

Elogio della serietà

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Premetto: non sto puntando il dito contro nessuno. E non sono responsabile per l’eventuale combustione di code di paglia.
C’è un bellissimo proverbio americano che dice: If you can’t walk the walk, don’t talk the talk. Significa che se non sai fare bene una cosa dovresti evitare di parlare come un professionista di quella cosa.
Ed è un adagio che vorrei che diventasse parecchio di moda nel campo del quale mi occupo, il Fumetto.
Il mio lavoro concerne una forma di comunicazione e di espressione che ha due enormi valori poco riscontrati in altri medium: esige un minimo di qualità tale da costituire una sorta di “soglia di ingresso” per tenere lontani gli incapaci dagli scaffali delle librerie (quasi tutti, a volte qualche incapace si vende bene agli editori. Ma non dura) e non richiede un’educazione formale, per chi ha l’intelligenza di studiare il mondo, e i propri maestri, con occhio attento.
Insomma, inventarsi il mestiere è possibile, nel Fumetto; è successo a molti di noi che siamo rimasti a farlo abbastanza a lungo da imparare davvero la differenza tra essere professionali ed essere professionisti.
Professionale lo devi essere da subito, altrimenti nessuno vorrà perdere tempo a darti ascolto e opportunità. Professionista ci diventi con il tempo, se riesci ad accumulare abbastanza conoscenze ed esperienze da essere in grado di fare ciò che fai senza la guida di altri. (Autori: non vuol dire senza editing. Rassegnatevi. L’editing vi serve.)
In questi ultimi anni, l’interesse della società civile per il Fumetto è aumentato esponenzialmente. Il mercato si sta lentamente aprendo, le vendite migliorano, per chi sa cercare lettori al di fuori dalle cerchie degli iniziati. Vi sembrerà strano, ma anche il fenomeno, parallelo all’editoria di massa, delle autoproduzioni è sintomo di salute del Fumetto nel nostro Paese. È smania di raccontare senza preoccuparsi del mercato e delle sue regole.
Eppure i comportamenti professionali sono una rarità.
Se sei un giornalista, non puoi chiedermi di concederti un’intervista con un mio autore e poi di promuovere l’intervista sui miei social media. Vuoi i contenuti o la visibilità? Non posso fare il tuo lavoro per te.
Se organizzi una fiera, non puoi aspettarti che venga a fare portfolio review in un’area pro alla quale può accedere qualunque scalzacane solo perché credi che questo aumenti le possibilità di inserimento professionale per gli aspiranti autori che pagano per entrare al tuo evento. Vuoi che indossi una maglietta che dice “io però sono onesto”?
Potrei andare avanti, categoria per categoria, ed entro sera avrei una mail di lamentele da esponenti di ciascuna realtà coinvolta.
Non ne ho bisogno. BAO ha già deciso di non collaborare più con le entità e le persone che non fanno nulla per far crescere il rispetto e la visibilità del Fumetto in Italia. Fiere, scuole, siti, singoli “giornalisti” (le virgolette per rispetto a chi non le merita). Sappiamo chi ci fa perdere tempo, ed evitiamo di averci a che fare.
Se mi si presenta un valido autore di autoproduzioni, con il progetto per un libro che mi entusiasma, io gli propongo un contratto, ma lo prego di non smettere di sperimentare. Gli offro di diventare un professionista, perché l’ho trovato già professionale nell’approccio, ma non ho alcun desiderio o interesse a inaridire la sua creatività, quindi cerco di non sradicarlo dal substrato culturale che l’ha reso interessante ai miei occhi. La sua indisciplina, la sua diversità dall’attuale mainstream per me sono un valore.
Chi invece vuole il diritto di lavorare male e di sedere al mio stesso tavolo, per favore, si levi di torno. E chi fa davvero il mio mestiere smetta di parlare, di lavorare con queste persone.
[A questo punto vi devo ricordare che non ce l’ho con nessuno in particolare, ma in generale con un certo modo di fare.]
Da mesi incontro giornalisti, organizzatori di eventi culturali, responsabili di siti con la voglia di crescere e fare bene, dirigenti di scuole specializzate, perfino amministratori locali sempre più sensibili alla buona editoria, perché essa è il solo possibile veicolo per fare sistematicamente bene al Fumetto. BAO fa di tutto per collaborarvi, tramite interventi diretti, presenze, collaborazioni di ogni tipo, sponsorizzazioni. È importante far crescere il rispetto per la nostra cultura, è vitale essere presi sul serio.
L’attenzione che ora è concessa al Fumetto va spesa bene, da subito. Dobbiamo mostrare il nostro ritratto migliore. Se non siete professionisti, siate professionali, e sorridete verso gli obiettivi che vi inquadrano. Per tutti gli altri, come diceva il Dottor House: Be good, get good, or give up. 

“Se” – Quarta puntata

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Qualche settimana fa il tipografo mi ha chiesto se E la chiamano estate lo volevamo far rilegare a sedicesimi o a trentaduesimi. La seconda soluzione ci avrebbe fatto risparmiare venti centesimi a copia, ma la prima avrebbe dato maggiore solidità, compattezza ed elasticità al dorso. E io odio quando un libro si squaderna mentre lo leggo.

Stamattina ho attribuito i codici ISBN a tutti i libri del resto dell’anno. È un lavoro sporco, noioso, ma mentre completavo le caselle del piano editoriale 2014 (e anche di un pezzetto di quello del 2015) provavo una crescente soddisfazione, come quando da bambino completi un album di figurine con gli ultimi pezzi a lungo attesi e cercati.
L’altro giorno, con il contafili, mentre ero solo in redazione, ho controllato la grana della stampa di Come Prima per assicurarmi della rispondenza all’originale. Avevo chiesto espressamente che fosse stampata con una macchina tradizionale, con il retino a rosetta, non stocastico, per avere maggior controllo della somiglianza con il volume francese.
Il mio lavoro è lo stesso delle posate al ristorante: se lo faccio bene non mi si nota. Ma se non fai fatica a tagliare la bistecca mi sarai silenziosamente grato.
Se non capisci la gioia che dà fare scelte invisibili come queste, tu e io non facciamo lo stesso mestiere.

Sulla dignità mediatica del fumetto

Daniela, Caterina e Ninja, un ufficio stampa senza pari.

Daniela, Caterina e Ninja, un ufficio stampa senza pari.

Una delle battaglie quotidiane che ci troviamo a combattere in BAO è quella contro la diffidenza nei confronti del fumetto che c’è nel nostro paese. Prima di dare la stura a un coro di invettive contro la “barbarie culturale” dell’Italia, ci tengo a precisare che il problema esiste in tutti i paesi del mondo. In Giappone come in Francia, negli Stati Uniti come nel resto d’Europa, non importa quanto florido sia il mercato, quanto radicata nelle persone l’abitudine di scegliere tra prosa, illustrazione e fumetto: quest’ultimo è comunque tenuto a debita distanza da quella che è considerata la cultura “alta”. Basti pensare cosa è successo quando un fumetto ha vinto il premio Pulitzer (Maus) o è stato nominato per lo Hugo. Apriti cielo.
In Italia l’ipocrisia del rifiuto del fumetto come mezzo narrativo “degno” è però duplice: da un lato siamo un popolo di lettori pigri e distratti, poco curiosi, spesso incapaci di cercare stimoli diversi da quelli cui siamo abituati, dall’altro proteggiamo la nostra cultura “alta” (della quale però all’atto pratico ci disinteressiamo) indignandoci se essa viene minacciata dalla contaminazione di linguaggi che reputiamo inferiori. Quindi, per l’assioma (sbagliato) che vuole la prosa superiore a qualunque ricorso narrativo all’immagine, nelle biblioteche c’è Fabio Volo, ma non Hugo Pratt.
La ragione di questa diffidenza nasce dal fatto che il fumetto è diventato importante nella cultura di massa italiana negli anni del Boom, quando editori come Bonelli e Astorina fornivano intrattenimento di facile fruizione a individui spesso di scarsa scolarizzazione. Due generazioni dopo, i giovani genitori faticano a contemplare l’idea di far leggere ai propri figli un fumetto, che probabilmente associano ai nonni che non hanno finito le scuole dell’obbligo. Quanto ai libri che comprano per loro stessi, a meno di essere cresciuti a contatto con le controculture o le culture di nicchia (Dio ci conservi gli hipster), anche loro pensano che avere in mano un Moccia sia comunque meno infamante che avere in mano un Tex.
Come si cambia questa cultura?
In primis lavorando serenamente sull’educazione al fumetto dei bambini, che sarà oggetto di un post la settimana prossima. È però anche importante che gli adulti sentano parlare di queste storie, di questi libri, in ambiti socialmente accettabili, per comprendere che non c’è nulla di cui vergognarsi. Siamo riusciti a sdoganare la masturbazione, perché non dovremmo riuscirci con i fumetti?
Fondamentale, in questo senso, è il lavoro dell’ufficio stampa, una figura divenuta imprescindibile per fare diffusione della cultura e della produzione culturale in Italia. È anche uno dei mestieri che più si tende a credere di poter improvvisare, ecco perché ve lo faccio raccontare dalle mie due infallibili addette stampa ed eventi, la mia socia Caterina e Daniela Odri Mazza, la cosa migliore mai venuta da Latina dopo Tiziano Ferro (anche, ma non solo, per la sua crescente collezione di pony in ufficio).

Ciao, ho appena deciso di annunciare un nuovo volume a fumetti. Voi cosa fate, per assicurarvi che quando uscirà goda della giusta attenzione mediatica? Raccontateci il vostro lavoro.

Caterina: Come ogni libro ha un suo pubblico, ogni libro ha il suo giornalista.
In BAO quando scegliamo di pubblicare un libro abbiamo già un’idea di come comunicarlo, di quali sono i punti forti su cui potremo fare leva quando Daniela e io andremo a proporlo ai giornalisti con cui ci rapportiamo. Prima che arrivasse Daniela, la mole di lavoro era tale che un po’ mi limitava nella parte più “creativa”. Ora possiamo pensare a soluzioni più originali per proporre un libro particolare. Per La gigantesca barba malvagia abbiamo ordinato delle barbe finte per farne un oggetto promozionale. Tra poco arriveranno anche i palloni da spiaggia, ma è ancora un progetto top-secret!

Daniela: Il lavoro di promozione di un libro inizia molti mesi prima della pubblicazione effettiva del volume, e necessita ogni volta di una pianificazione personalizzata. Anche se esistono delle buone prassi all’interno della casa editrice che si ripetono per ogni uscita, bisogna sempre ragionare su come parlare nel modo giusto al target giusto.
Il primo passo, sembra scontato ma – ti assicuro – non lo è, consiste nel leggere il libro. Quindi si passa alla scelta dei materiali con cui presentare il volume ai media. Il primo strumento che utilizziamo è il comunicato stampa, insieme alla copertina e, visto che parliamo di fumetto, alcune tavole scelte, quelle che riescono a trasmettere l’anima del libro con un solo sguardo.
Sono poi apprezzati i booktrailer, le foto degli autori, gli extra inediti…può capitare di inventarsi un gadget, una campagna viral sui social network, un evento…la migliore ricetta è quella che riesce a declinare le informazioni su più canali possibili.
Nello stesso tempo si individuano gli interlocutori più adatti per quella campagna (giornalisti, opinion leader), ragionando sulle azioni da intraprendere, sui tempi da rispettare (importantissimo!), e sugli obiettivi che vogliamo raggiungere. Meglio pianifichiamo, meglio riusciamo ad assicurarci la copertura nei media desiderata, monitorando e aggiustando il tiro delle nostre azioni a seconda dei risultati intermedi.
La campagna migliore è sempre quella che ti fa raggiungere nuovi lettori.

Come si fa a motivare un giornalista a parlare di un fumetto?

Caterina: Bisogna aver la capacità di capire qual è l’elemento del libro che saprà incuriosire il giornalista. Può essere il nome dell’autore, l’argomento del libro che si sposa con l’attualità, un personaggio noto che è innamorato di quella storia… Un lavoro vero di Alberto Madrigal è un ottimo esempio: il tema dei ragazzi che vanno all’estero per lavoro è assolutamente attuale, avere come appiglio un argomento così forte di ha aiutato nel farne parlare molto dalla temutissima stampa generalista.
Il nostro compito è trasmettere l’entusiasmo che abbiamo per un libro a un’altra persona. La cosa bella è che sappiamo già che stiamo parlando di belle storie, l’unica cosa è trovare il modo di portarla sotto gli occhi di chi deve parlarne.

Daniela: Devo dire che ci troviamo in un momento storico in cui i media riservano una certa benevolenza al fumetto, e non disdegnano parlare di graphic novel. Partiamo poi dal presupposto che esistono giornalisti esperti di fumetto e giornalisti generalisti.
Con il giornalista esperto la motivazione va ricercata nella qualità intrinseca del prodotto, ovviamente tenendo presente i gusti e le preferenze dell’interlocutore (detto in parole semplici: ad un esperto di BD francese difficilmente proporrò l’ultima serie di supereroi americani e viceversa). Per questo trovo che sia – se non necessario – quantomeno auspicabile per un ufficio stampa specializzato avere una buona cultura del settore, non solo di quello che fa l’editore con cui lavori ma di tutto quello che succede intorno (questo non vale solo per i fumetti, ma per qualunque campo specifico).
Con il giornalista generalista invece la motivazione funziona nel fare leva su tutto quello che può essere legato all’attualità. In questo caso l’ufficio stampa individua tutte le possibili chiavi di lettura del libro e tutti i possibili “agganci” con la quotidianità (ricorrenze, festività, mode, tendenze, personaggi famosi, ecc.) in modo da fornire gli elementi necessari a far capire da subito che l’uscita del volume rispetta il requisito richiesto da ogni giornalista che decide di dedicarti due minuti del suo tempo: la notiziabilità.
In questo senso le prime righe di un comunicato stampa, anzi l’oggetto della mail che contiene quel comunicato, sono quelle che possono effettivamente decidere le sorti di un libro. Meglio pensarci bene, prima di scriverle.

Quali sono le “prede” mediatiche più ambite, i desiderata, e come vi rapportate con loro?

Daniela: Sicuramente nel nostro Paese il medium che raggiunge il pubblico più vasto è quello televisivo. Gli spazi culturali dedicati ai libri (figuriamoci poi ai fumetti) sono pochissimi e la concorrenza altissima.
Le radio, specie nei canali nazionali, offrono spesso degli spazi di intrattenimento di alta qualità dedicati alla lettura, seguitissimi dagli ascoltatori e anch’essi molto ambiti. Lo stesso vale per le pagine culturali dei quotidiani nazionali.
Mensili, settimanali, inserti dei quotidiani sono poi il nostro territorio privilegiato per l’approfondimento, le interviste e le recensioni, anche se la crisi ha decimato il numero le testate in edicola, e la situazione e tra cambi di direttori e redazioni la situazione è in continuo mutamento, con conseguenti cambiamenti nelle linee editoriali.
E poi c’è tutto quello che è online: testate registrate, siti specializzati, blog, social network…un mondo in cui ci si orienta a suon di click e visualizzazioni, un territorio tutto da esplorare che può riservare anche delle sorprese.

C’è ancora difficoltà ad accettare il fumetto come un argomento valido per le sezioni culturali degli organi di informazione e intrattenimento?

Daniela: Come dicevo prima la sensazione è di una discreta benevolenza generale, tuttavia mi è successo di sentirmi rispondere che il direttore o il caporedattore di questa o quella testata preferivano evitare di parlarne. In questo senso secondo me occorre un’azione costante di sensibilizzazione e valorizzazione delle opere a fumetti, in modo da lavorare sempre meglio con gli spazi predisposti e vincere le resistenze di quelli diffidenti.

Cosa distingue un buon ufficio stampa da uno un po’ abborracciato?

Caterina: Un buon ufficio stampa sa sempre cosa mandare a chi. Questo importante super potere, che si acquisisce solo con il tempo, ti aiuta a non stressare chi magari non parlerebbe mai di un fumetto di fantascienza (perché la mamma è stata rapita dagli alieni) con tremila e-mail tutte uguali.

Daniela: La professionalità e l’esperienza.

Un consiglio per chi volesse intraprendere questa professione, non necessariamente nell’ambito del fumetto?

Caterina: Essere gentili. E soprattutto appropriati. Fare l’ufficio stampa riporterà in auge tutti gli insegnamenti di quando tua mamma ti spiegava che era meglio dire “non è il mio genere” piuttosto che “mi fa schifo”.
Poi ci vuole un sacco di pazienza, ci sono un tantissime cose che si imparano con il tempo. Se vado a rileggermi un vecchio comunicato di tre anni fa mi metto le mani nei capelli. È un percorso che richiede esperienza e bisogna imparare il metodo giusto di comunicare i libri e gli autori. Da fuori può sembrare un mestiere che ci si inventa da un giorno all’altro, in realtà bisogna impegnarsi e imparare da chi lo fa già da anni.
Ovviamente è vitale compilare la propria agenda, nessun contatto è inutile basta saperlo “utilizzare” nel momento giusto.

Daniela: Il mio consiglio è di iniziare mettendo insieme tre elementi fondamentali: buona educazione, buon senso e buona volontà.

Dobbiamo fare più rumore

Oggi ritorno alla vita. Una sera di inizio aprile ho risposto alla domanda “Come è andata oggi?” con la frase: “Sto avendo una lunga settimana. Finirà verso metà giugno.” Non esageravo: Napoli Comicon, Salone del Libro di Torino, Etna Comics, una quindicina di libri da mandare in stampa e nel mezzo, soprattutto, il nostro primo Temporary Shop, la BAO Boutique Brera. Per chi è curioso di capire che atmosfera ci sia stata, in quella ex tabaccheria in Via Solferino a Milano, qui ho preparato un album di fotografie, ma presto ci sarà anche un aftermovie dell’intera esperienza, e ve lo segnalerò quando sarà pronto.
La cosa più importante per noi è stato incontrare la gente. Curiosi, lettori già fidelizzati, passanti casuali nella via, giornalisti, coppie alla ricerca di un regalo per amici, genitori o zii alla ricerca di un libro per un figlio o nipote. Ogni settimana abbiamo avuto almeno tre eventi e c’è sempre stata un’entusiastica ressa per incontrare gli autori ospiti, per farsi dedicare le copie dei libri, per parlare con noi. Io che sono solennemente allergico alle feste, già dopo la serata inaugurale avevo avuto la sensazione che l’atmosfera alla BBB sarebbe stata molto positiva, perché non mi sembrava favorire i protagonismi, ma era invece perfetta per trasmettere amore e rispetto per il fumetto. Dopo un evento con Zerocalcare andato avanti fino all’una e mezza del mattino, una presentazione di Dylan Dog e perfino una giornata dedicata alla vendita scontata delle copie fallate dei nostri libri, ci siamo resi conto che la voglia di interfacciarsi con chi i fumetti li fa è fortissima tra la cosiddetta “gente normale”.
E allora forse sarebbe il caso di smettere di chiamarla così, perché non è che noi che amiamo il fumetto siamo poi così anormali, e perché sono bastate tre settimane di BBB per intaccare quella normalità borghese e far tornare almeno tre volte persone che, prima di mettere piede in negozio, non avevano MAI letto un fumetto in vita loro.
Abbiamo ospitato anche autori che non pubblichiamo noi, semplicemente per ammirazione e amicizia, creando gioiosi cortocircuiti editoriali che hanno fatto bene a tutti i coinvolti. E mi è balenato in mente che se noi da soli, che siamo “nuovi” e relativamente piccoli, siamo riusciti a fare tanto rumore con una serie coordinata di eventi, chissà cosa si potrebbe fare se tutti gli editori con un po’ di sale in zucca (se non sto parlando di te lo sai. Ti è appena andata a fuoco la coda di paglia) si organizzassero per fare qualcosa di simile nello stesso momento, creando una massa critica di notizie di attualità fumettistica da rendere ai media maggiori impossibile ignorarci.
A Milano ogni anno fanno una cosina che si chiama Salone del Mobile, ma è il fatto che le aziende più diverse prendano in affitto spazi per promuoversi in modo creativo che crea la vera attenzione mediatica. La città diventa la più grande pubblicità a cielo aperto del Paese e tutti, dagli utenti ai media, sembrano ben contenti di fare promozione gratis a quel fenomeno chiamato Fuorisalone.
Dovremmo pensarci. E poi dovremmo farlo. Perché ve lo assicuro, c’è una gran fame di fumetto, in Italia, in questo momento. E noi intendiamo soddisfarla, alimentarla, farne una sana abitudine nella dieta culturale di questo Paese.

Domenica 15 ho scaricato da solo sei volte la capienza del bagagliaio della macchina, ovvero tutto ciò che c'era al negozio. Ricordatemi di non farlo mai più. Ma la BBB sì, quella va rifatta, presto.

Domenica 15 ho scaricato da solo sei volte la capienza del bagagliaio della macchina, ovvero tutto ciò che c’era al negozio. Ricordatemi di non farlo mai più. Ma la BBB sì, quella va rifatta, presto.

Il premio migliore

Domenica ho fatto un bel po’ di lavoro di fatica, caricando in macchina scatoloni di fumetti alla BAO Boutique Brera mentre era in corso la merenda finale a base di pane e Nutella, per poi portare il tutto alla redazione, dove ieri la mia fantastica squadra ha metabolizzato quel mare di scatoloni in poche ore.
Verso le sei di sera ho inforcato la bicicletta in Via Solferino, pronto a tornare a casa per una meritata, necessaria doccia, quando un ragazzo mi è venuto incontro e mi ha dato questa lettera per la redazione. Mi scuso con lui se la pubblico qui, ma non mi ha dato alcun modo per contattarlo.

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Le prossime due volte che non vinceremo un Gran Guinigi, la prossima volta che qualcuno dirà una cattiveria su di me, la prossima volta in cui la salita per portare il mio lavoro a un livello accettabile mi sembrerà troppo ripida, io mi ricorderò che ho meritato questa lettera.
Non riesco a pensare a un premio migliore e mi ha dato la forza di affrontare l’ultimo sprint di questo periodo di fatica terrificante, in cui ho trascurato ogni aspetto della mia esistenza che non fosse strettamente legato al lavoro.
Fatti vivo, ragazzo con le basette. Voglio farti fare un giro della redazione e ringraziarti per ciò che ci hai dato tu.

Sono in para dura*

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Il ricordo di Roberto “Freak” Antoni di Vanna Vinci.

In questi giorni il mondo del fumetto è scosso da piccole guerre segrete. Per impedire a certi autori di lavorare con certi editori. Alle fumetterie di ricevere certi titoli. Tutto per cercare di tenersi stretti i lettori che già si hanno, non sia mai che si distraggano con un hobby più capillarmente disponibile o, men che meno con altri fumetti.
Una persona saggia mi ha suggerito che tutta la filosofia di cui c’è bisogno nella vita, se fai fumetti, sta nell’intro di Eptadone degli Skiantos. Credo che riassuma bene la mia reazione a queste tempeste in un bicchier d’acqua.
Quindi, nelle immortali parole di Freak Antoni:

Ma chi cazzo se ne frega?
Hai della merda o no?
Schiodiamoci!

E la postilla:
Ma che viaggio ti fai?!

Nella speranza che ci si renda presto conto che solo facendo fronte comune all’ignoranza riusciremo a far crescere il lettorato e il rispetto per il Fumetto nel nostro paese, che è allo stesso pigro e supponente, e ha paura di tutto ciò che lo stimola a pensare. Quella contro l’indifferenza culturale è la sola guerra che ci interessa e che ci vedrà sempre in prima linea.

*Essi, terza persona plurale.

Pacco, doppio pacco e contropaccotto

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Il mio calendario di lavorazione mi informa che a oggi di 76 titoli previsti nel corso dell’anno ne abbiamo mandati in stampa 32. Altri dieci saranno pronti entro la fine del mese. Pare di no, ma siamo in perfetto orario.
Nei primi cinque mesi dell’anno abbiamo evaso un totale di trecentotredici ordini, per quasi novecento volumi in tutto. La cosa mi stupisce sempre: l’anno scorso abbiamo venduto ottantamila euro di fumetti dal nostro shop online. Perché?
Voglio dire, la cosa mi fa estremamente piacere, ma non me la spiego. Comprando gli stessi libri da Amazon, i nostri lettori avrebbero avuto uno sconto, il tracciamento costante dell’ordine e molti più vantaggi pratici. Ma non avrebbero avuto contatto con noi.
Succede che a volte qualcuno ordini un libro senza rendersi bene conto del fatto che le spese di spedizione gratuite comportano la spedizione mediante piego di libri. Insomma, posta ordinaria. Lenta e senza possibilità di tracciare la spedizione. Dopo qualche tempo, se il pacchetto non è arrivato, ci scrivono, per sapere che fine ha fatto la merce. Noi rispondiamo che se entro trenta giorni dalla data della spedizione non arriva nulla, rimanderemo l’ordine mediante corriere, a spese nostre.
Be’, molto spesso i lettori ci scrivono per rassicurarci: hanno ricevuto il pacco. Un paio di volte qualcuno ci ha scritto al trentesimo giorno esatto: Non rimandatelo! È arrivato proprio oggi.
Io sono abbastanza convinto che queste persone ad Amazon non scrivano, per dire cose simili. Con noi si crea un rapporto diretto, c’è fiducia, desiderio di sapere che dall’altra parte c’è qualcuno cui importa di quei libri quanto a chi è disposto a pagarli in anticipo pur di averli.
Quei lettori non sono disposto a perderli. Ma sono disposto a non essere più io a vendere loro i libri. Se le librerie, le fumetterie sapessero dare loro lo stesso senso di impegno, di rassicurazione, di filo diretto con chi vende i fumetti, sarei disposto a rinunciare a quella porzione del fatturato della BAO*, perché saprei che quelle persone hanno canali sicuri attraverso i quali valutare, soppesare e acquistare i libri che realizziamo. Piuttosto che vendere da lontano, in remoto, con un clic dopo aver sfogliato un preview digitale, preferirei lasciare parte del prezzo di copertina nelle tasche di chi si premura di consentire ai potenziali lettori di sfogliare, accarezzare, annusare, prendere tra le mani i libri.

In quattro anni abbiamo messo a punto un paradigma semplice ed efficace su come si dovrebbe avere cura del lettore-cliente, prescindendo dalle facili attrattive, ovvero sconti e regali. Mi piacerebbe che anche le altre componenti della filiera industriale del fumetto, soprattutto quelle più a valle rispetto ai soggetti editoriali, trovassero il modo di avere cura dei lettori come facciamo noi. Quelli che lo fanno già hanno un clamoroso successo anche se i loro punti vendita sono in località piccole e con un bacino di utenza relativamente limitato (il mio amico Daniele Pignatelli ha una fumetteria a Sarzana, abitanti ventunomila, ma la gente viene a comprare fumetti da lui da tutta la provincia di La Spezia, e anche dalle vicine province toscane. Non ha più fumetti degli altri, ma ascolta e motiva i suoi clienti più di chiunque altro. Credo che sia davvero il migliore che c’è in quello che fa).
Fino a quel giorno, credo che qui in BAO dovremo spendere un sacco di soldi in scatole per spedizione, buste protettive con le bolle, cartoncini “Il suo pacco è stato confezionato da”, francobolli e corrieri. Perché al di là di tutte le logiche, non lasceremo che una sola persona che desidera i nostri fumetti resti senza di essi.

* Anche per questo spesso in editoria il venduto si misura “a prezzo di copertina”. Ovviamente l’editore non incassa mai il prezzo di copertina pieno, come ho spiegato due mesi fa, ma se le copie vendute tramite lo shop online si spostassero un giorno tutte su librerie e fumetterie, tenendo conto del venduto a prezzo di copertina potrei comunque fare una comparazione diretta sui quantitativi venduti, pur dovendo calcolare che il margine di profitto è differente a causa della scontistica richiesta dalla distribuzione.

Cosa ho imparato

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Lo so, ho aggiornato poco il blog, ultimamente.
Vi dirò, ho fatto tre fiere, c’è stata la BAO Boutique, ho partecipato a un festival in Francia e nel mezzo ho mandato in stampa tre mezze dozzine di libri. Non solo non avevo il tempo per scrivere, non avrei saputo da dove cominciare.
Come per molte buone storie, però, gli stimoli si sono accavallati e sovrapposti, e qualcosa di utile mi è rimasto, credo. Ve lo offro così come esce dal mio bagaglio di questo bimestre on the road.

– I lettori hanno voglia di parlare con l’editore. Tutte le volte che sono rimasto io a tenere aperto il nostro temporary store, ho venduto qualcosa a chiunque sia entrato, semplicemente perché ho parlato con ciascun cliente, con l’entusiasmo che provo e che gli amici mi conoscono, dei libri che facciamo. Ogni conversazione è finita con: “Ma perché non aprite una libreria permanente?” (Perché dovrei starci vita natural durante a parlare con voi. E non farei più i libri.) C’è bisogno di più comunicazione, meno misteri, meno supercazzole, per chiarire che l’editore non è un essere abietto la cui missione nella vita è fregare chiunque firmi un contratto insieme a lui.

– Il fumetto oggi sta uscendo dalle nicchie, ma è osteggiato da due fronti, che lo stringono d’assedio: dall’alto, il mondo della cultura maggiore ci avverte che non saremo mai ammessi nei salotti buoni, nell’Accademia, nell’intellighenzia. Dal basso, i lettori storici mal digeriscono l’infighettamento del “romanzo grafico”, che pare loro solo una definizione pubblicitaria e velleitaria. Si crea così un doppio fraintendimento: che un romanzo grafico non sia un fumetto (punto di vista dal basso) e che un fumetto – comunque lo si chiami – non sia un libro (punto di vista dall’alto). Ho notizie per entrambi gli schieramenti di puristi: un libro è un supporto, quindi dentro può essere in prosa, illustrato, o a fumetti. E il fumetto è un linguaggio, quindi può essere applicato alla narrazione seriale o alle storie autoconclusive, alle trame più commerciali (non per questo però puerili) come a quelle più colte e complesse (non per questo necessariamente elevate e degne di stima). Forse dovremmo occuparci tutti solo di convincere più persone ad accettare che questo linguaggio è degno di vestirsi (anche) del supporto-libro, e ci sarebbero meno persone ostili al fumetto. Farebbe bene a tutti.

– Ha senso andare alla fiere, soprattutto quando molto distanti tra loro, perché se da una parte è vero che è vitale per il nostro comparto trovare nuovi lettori, e alle fiere non ce ne sono, perché ci va chi di fumetti è già appassionato, è anche vero che la distribuzione specialistica funziona così male (e ci tiene a funzionare esattamente così) che ogni volta che allestisco uno stand in una zona dove non siamo mai stati, letteralmente decine di migliaia di persone vedono i nostri libri per la prima volta.

– Che voi siate esordienti o autori già affermati, se mi chiedete un appuntamento de visu per parlare di un progetto, esigerò sempre che mi anticipiate un proposal per sapere di cosa parliamo quando ci incontreremo. Un appuntamento di lavoro non può e non deve somigliare a un’interrogazione a sorpresa. Funziona se vendi il Folletto Vorwerk, forse, non se stai cercando di farti pubblicare un libro. Se non mi fate leggere niente prima è CERTO che vi dirò di no.
E poi la fatica di mettere insieme un proposal la dovete fare. È il vostro rischio d’impresa, prima che la Casa editrice si faccia carico del suo.

– Se una Casa editrice ha manifestamente rispetto del lettore, in primis, è molto più probabile che rispetti anche i suoi autori e collaboratori. Se questa affermazione vi mette a disagio, siete parte del problema.

– Riprendendo una cosa che ho detto sabato a Etna Comics a una platea di aspiranti autori: scegliete bene gli editori con i quali vorreste lavorare. Poi sarà questione di farvi scegliere da loro, ma siate più esigenti. Anticipo basso? Chiedete una percentuale di royalties più alta. Royalties al minimo legale (che, ricordo, è il 3% del prezzo di copertina, altrimenti il contratto non è valido)? L’anticipo dev’essere più congruo, altrimenti state lavorando gratis. Non hanno un ufficio stampa? Informateli che non intendete vendere le copie ai vostri parenti.
Ultimamente ci arrivano allarmanti segnali del fatto che ci sono editori che chiedono soldi per pubblicare le opere degli autori che li contattano. Quella dell’editoria a contributo è una piaga per alcuni, un comodo binario morto dove parcheggiare i senza talento per altri. Quale che sia il vostro livello di bravura e preparazione, ricordatevi che se il vostro libro valesse qualcosa, vi starebbero pagando loro, invece di chiedervi dei soldi.

– Narrativamente, commercialmente, editorialmente, promozionalmente, creativamente, se non stai rischiando nulla non otterrai nulla.

– Accontentarsi non paga. Mai. Vale per noi, vale per voi.