Quattro passi nella follia più colorata del mondo

La vista dal ventunesimo piano dell'hotel Hyatt di San Diego.

La vista dal ventunesimo piano dell’hotel Hyatt di San Diego.

Giunto al mio ottavo Comic-Con, mi rendo conto che quando ne parlo tendo a dare per scontate alcune cose. Nel post precedente ho cercato di far vedere i momenti che precedono l’apertura, mentre oggi vorrei che fosse chiaro a tutti (visto che questa settimana si è parlato di poco d’altro, nel mondo del Fumetto) che questa fiera avviene essenzialmente tutta in una sola stanza. Una stanza… di ragguardevoli dimensioni, ecco.
Così ho innestato il mio iPhone in cima al mio (ormai) inseparabile selfie-stick telescopico e, reggendo il telefono a circa tre metri e mezzo da terra, ho percorso tutta la stanza. Alla fine dell’ora di punta. Di sabato. Siccome ho pietà di voi il video va a due volte e mezzo la velocità reale. Buona visione!

Walk on, Comic-Con International 2014 from BAO Publishing on Vimeo.

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Quanto amano fare la fila, in California

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Visto che mi trovo a San Diego per il Comic-Con International, mi sono detto: facciamo vedere ai lettori del blog qualcosa che di solito non finisce sui siti di fumetto. Tipo… come avviene l’accredito per accedere a una fiera da duecentomila visitatori? Be’, così. Abbiate pietà del mio iPhone, del fatto che ogni tanto metto un dito sull’obiettivo e dei miei pessimi skill di montatore di video, e godetevi questi momenti di calma prima della tempesta (la tempesta, ufficialmente, comincia tra un’oretta).

 

“Se” – Sesta puntata

L'annuncio della chiusura di Pages a Toronto, nel 2009, disegnato dal nostro amico Michael Cho.

L’annuncio della chiusura di Pages a Toronto, nel 2009, disegnato dal nostro amico Michael Cho.

Se un cliente chiede a un libraio “Hai il fumetto Tal dei Tali Tales?” e lui risponde di no, la risposta è accettabile solo se seguita da “Te lo ordino subito, arriva il giorno X.”

Se un libraio dice di non sapere quando arriverà un libro, ha un problema con il suo fornitore.

Se quel libraio è in regola con i pagamenti al fornitore, il problema è il fornitore.

Se il fornitore dice che il libro è esaurito presso l’editore, nel caso di un libro BAO sta mentendo.

Se a dire la stessa cosa è il libraio, non ha voglia di fare un ordine e di tenersi un cliente.

Se un libraio fa bene il proprio lavoro, nessuno dei “se” di questo post lo farà arrabbiare.

Se di questi tempi un libraio può permettersi di perdere o non conquistare un cliente, ditemi su che pianeta vive, che ci emigro subito.

Se ci impegniamo tutti, le cose miglioreranno.

Adotta una libreria

Abbraccia un libraio

Sento spesso la gente lamentarsi che nelle librerie non si trovano abbastanza fumetti. Come se fosse scandaloso non destinare una porzione dello spazio disponibile in ogni punto vendita alla letteratura disegnata. Bene, vediamo di analizzare il problema, le sue ragioni, e alcune possibili soluzioni.
In Italia escono poco meno di duemila novità a fumetti l’anno, nelle librerie generaliste. Si tratta di un decimo delle uscite di narrativa. Se le vendite fossero dello stesso livello, a rigor di logica un decimo dello spazio disponibile in ciascuna libreria dovrebbe essere occupato da fumetti. Non è così. È evidente che in libreria non si comprano abitualmente tutti i fumetti che servono a indurre i gestori a dare più spazio alla nostra nicchia del mercato.
Le ragioni sono molteplici, ma ciò che mi preme è che il diritto di lamentarsi va meritato.
In questo momento storico del mercato editoriale, le librerie sono in acuta sofferenza, e gli editori spesso non se la passano meglio. Tutti stanno aspettando che la crisi “passi”, ma intanto le librerie devono:

  • Avere spazio per fare magazzino
  • Avere personale che gestisca il magazzino, sia in fase di rifornimento che di reso
  • Pagare le fatture di acquisto e poi, dopo essersi sobbarcati i costi dei due punti precedenti, che nessuno rimborserà mai loro, rimandare la merce invenduta e aspettare pazientemente che il distributore restituisca loro i soldi.

Nel frattempo l’editore deve:

  • Continuare a produrre (perché la crisi non passa da sola e bisogna alimentare la filiera)
  • Continuare a pagare lo stoccaggio del magazzino dei libri prodotti
  • Accettare il progressivo deprezzamento dei libri a magazzino.

Fermi. Pausa. Su questo ci vuole una parentesi. Ogni anno, la Casa editrice presenta un bilancio. Tra le voci al suo attivo (che comprendono tutto ciò che può essere in futuro monetizzato), ci sono i libri in magazzino. La valorizzazione la decide l’azienda, e può essere qualunque cifra tra zero e il prezzo di copertina dei libri. Ora, è ovvio che non si venderanno mai i libri a prezzo di copertina, quindi sarebbe stupido valorizzare il magazzino a prezzo di copertina (a meno che tu non stia cercando di vendere la tua azienda a prezzi gonfiati, ma l’acquirente dovrebbe essere un idiota a non accorgersi di questo trucchetto); è consuetudine valorizzare i libri dello stesso anno a prezzo di costo (a volte anche all’80% del prezzo di costo). Con ogni anno che passa, le rimanenze di quegli stessi titoli si deprezzano del 33%, quindi nel giro di tre anni valgono zero. Si possono ancora vendere, nel qual caso sono, per l’azienda, un ottimo affare: costano zero, si vendono a una cifra superiore a zero. Ma se arrivati a valore zero venissero anche macerati, si risparmierebbe il costo di magazzinaggio di quei libri che ormai si vendono pochissimo.
Se ne evince che tenere disponibile un titolo è un servizio, qualcosa che all’editore costa, e che si fa solo perché si ha fiducia nel fatto che piano piano quel libro si venderà ancora.

Per evitare il collasso del sistema, è essenziale che le Case editrici resistano alla tentazione di macerare in massa i titoli che valgono ormai zero, con il solo scopo di risparmiare nell’immediato) e che i librai perdano il vizio di non ordinare le cose che non sono certissimi di vendere rapidamente.

E qui entrate in gioco voi. Perché lamentarvi che ci sono pochi fumetti nella vostra libreria di quartiere o nella Feltrinelli della vostra città è facile. Ma siete disposti a fare qualcosa per rimediare?
Andate in libreria. Chiedete di parlare con il direttore. Ditegli educatamente che se esponesse più fumetti voi li comprereste lì e non altrove. Fate un paio di esempi di titoli che non avete trovato.

Poi scrivete un commento a questo post, indicando che libreria scegliete, in che città. E che ci andiate davvero, alla prima occasione.

Ci dovrete tornare, un mese dopo, per dire al direttore se la situazione è migliorata o meno. Nel primo caso ringraziatelo (e magari fategli vedere che state comprando qualcosa), nel secondo spiegategli che vi ha perso perché preferite comprare in un altro negozio, oppure online.

A produrre i fumetti belli, a tenerli in catalogo, a ristampare prontamente e a convincere la promozione, la distribuzione e la stampa ci pensiamo noi. Siamo convinti che la nostra missione riuscirà perché sappiamo con certezza che c’è un pubblico là fuori che ha voglia dei nostri libri. Quel pubblico siete voi. Andate a dire ai librai che stavamo dicendo la verità?

[La campagna Adotta un libraio mi è venuta in mente chiacchierando a distanza con l’autore Giulio Macaione, che mi ha gentilmente regalato il disegno che apre questo post.]

Dare voce a tutte le fragilità (e come scegliere cosa pubblicare)

Gli editori, Toronto, 2009. Quattro mesi prima di fondare BAO.

Gli editori, Toronto, 2009. Quattro mesi prima di fondare BAO.

Ci ho messo anni, a fare i libri che volevo davvero.
E forse non è stato tempo perso.
È stato un percorso di comprensione di ciò che volevo davvero leggere, ma anche di che rumore di fondo volevo sentire, poter isolare nota per nota, nella mia vita.
Quando abbiamo cominciato BAO, Caterina e io, era una questione di formati, di estetica, di oggetto-messaggio. Mancava qualcosa, sulla scena italiana, nessuno ci stava pensando, così ci siamo infilati in quella nicchia, zitti zitti, e abbiamo cominciato a fare la nostra cosa, con l’incoscienza di chi non ci vede niente di male.
Poi abbiamo cercato di rinforzare la nostra visione acquisendo costose licenze che, sulla carta, non potevano fallire e ci avrebbero affermato sul mercato. Sono state una perdita di tempo e denaro. Più andavamo avanti, più i numeri ci dicevano una cosa che in realtà sapevamo fin dall’inizio, nella pancia più che nella testa: solo i libri in cui credevamo davvero ce l’avrebbero fatta, avrebbero lasciato il segno, sarebbero rimasti. Tutto il resto è fuffa.
Allora abbiamo cominciato – lentamente perché un’azienda non è qualcosa che può fare testacoda nel giro di pochi istanti – a divestirci delle sovrastrutture e a costruire piani editoriali fatti di sensazioni e idee pure, di libri sui quali, spesso, nessun altro avrebbe scommesso. E le cose hanno cominciato ad andare meglio. Sempre meglio. Con la promozione, con la stampa, con i lettori, soprattutto.

Abbiamo cominciato a muoverci su tre assi: quello delle X per l’ampiezza dell’offerta, quello delle Y per la capillarità della diffusione (e di conseguenza il livello delle vendite) e quello delle Z per la distanza alla quale avremmo potuto portare il lettore da ciò che è abituato a chiamare fumetto, o buon fumetto. Perché diciamocelo, se quest’anno possiamo dire che pochi altri avrebbero fatto essere un successo La gigantesca barba malvagia, due anni fa non era scontato nemmeno pensare che Portugal sarebbe andato bene, infatti lo volevano tantissimi editori, ma è rimasto lì finché non ci siamo decisi noi, e non può essere stata solo una questione di costi di produzione. Stiamo per mandare in stampa un libro di Brecht Evens, che forse è la prossima tappa nel processo di educazione dello sguardo dei nuovi lettori di Fumetto in Italia, ma non certo l’ultima che abbiamo in mente.

Quando ci intervistano, la domanda alla quale rispondiamo con maggiore imbarazzo è sempre “Come scegliete i libri da pubblicare?” Più diventa chiaro che sappiamo cosa scegliere, più ce la pongono, ma la risposta resta sempre un pochissimo studiato “Sono i libri che ci piacciono.”
Non c’è nulla di velleitario, però, nel nostro modo di scegliere cosa pubblicare. La verità è che se ci vedeste lavorare avreste la sensazione che io sia un irascibile scorbutico con atteggiamenti al limite dell’autistico, che mal digerisce le interruzioni che lo costringono ad alzare lo sguardo dallo schermo e Caterina sembrerebbe una che la giornata la passa proprio con il naso nello schermo, ma a inseguire fattoidi e brandelli di notizie nell’iperuranio che è internet. Eppure noi parliamo continuamente di ciò che vogliamo pubblicare, degli autori cui vogliamo dare voce. Se l’idea parte da lei, sarà una sensazione di pancia, che non saprà spiegare, ma della quale mi fiderò senza fare troppe domande (tranne quando le faccio notare che un autore che le piace copia, sperando di farla franca, qualcuno che non è più di moda. In quei casi, essere più vecchio aiuta). Se l’idea parte da me, sarà l’idea di un oggetto, una lavorazione in purezza per veicolare a livello visivo e tattile una storia che mi piace. E per avere il suo avallo dovrò sudare, ma è così che le idee si affinano, in fondo. Quando uno dei due inizia una frase, con lo sguardo ancora fisso sullo schermo, l’altro spesso gliela completa. Questo perché abbiamo in mente lo stesso obiettivo, e gli strumenti per raggiungerlo sono voci, segni, storie.

Io leggo una toccante storia sul New York Times, illustrata da una magnifica tavola di Bianca Bagnarelli, vedo le autoproduzioni di Marta Baroni, ammiro l’immenso talento di Toni Bruno, e ho voglia, ho bisogno di dire loro: vieni a fare un libro con noi. Non smettere di cercare altre strade per far uscire dalle crepe dell’asfalto le tue storie, le tue immagini, ma dammi un libro. Lo porterò sotto gli occhi di tutti. Non ne ho bisogno io per rendere più ricca l’azienda e non ne hai bisogno tu per appagare una qualche ambizione, ma ne hanno bisogno loro, le persone che cinque anni fa non sapevano di avere voglia di fumetti, e che ora mi chiedono “che altro avete da farci leggere?”

Ecco, quando riesco a costruire una corazza formale, non per me, ma per le storie che hanno bisogno di una struttura, una tattilità, un contesto culturale e commerciale che le facciano risuonare fortissimo dove fa più male, nel cuore e nella coscienza, in quei momenti so che la sfida non è ancora vinta, ma che non ci dobbiamo assolutamente arrendere.

Vendere frigoriferi in Siberia (è più facile che vendere fumetti alle librerie).

Io i libri li so immaginare, so dirvi che dimensione dovrebbero avere e che sensazione è meglio che diano al tatto. Li so costruire senza tradire ciò che ho visto io nella mia testa, ciò che hanno letto i miei editor sulla pagina e ciò che hanno visto sul monitor i miei grafici. Ma li so vendere solo se vi guardo negli occhi e vi faccio venire la febbre che ho dal primo giorno in cui ho deciso di farli. Per vendere il maggior numero di libri al maggior numero di librai, in BAO c’è un professionista. È un tipo che si situa da qualche parte nell’intersezione di Eddie “lo svelto” Felson de Lo spaccone, il Tenente Colombo, Mr. Wolf di Pulp Fiction e il Pagliaccio Baraldi di Fabio De Luigi. Ma questo solo, essenzialmente, perché si chiama Lorenzo Baraldi. Qui da noi è il Direttore Generale, ma anche il Responsabile Commerciale.

Baraldi

Lorenzo, ci descrivi cosa succede dal punto di vista commerciale a un libro dal momento in cui gli vengono attribuiti un titolo, un prezzo e un codice ISBN al momento in cui arriva sugli scaffali delle librerie?

Quando il libro viene “inserito” nell’anagrafica di Messaggerie Libri (il nostro distributore per le librerie) diventa, di fatto, visibile al mondo. I librai possono già emettere degli ordini spontaneamente, ancora prima che un agente vada a proporre loro l’acquisto di una o più copie e le librerie on line possono cominciare a raccogliere i preorder dai lettori. Poi arriva il momento in cui viene presentato alla rete vendita e inizia la raccolta degli ordini in tutti i negozi serviti da Messaggerie. Per ciascun cliente c’è una trattativa che si conclude, spesso, ma non sempre, con la “prenotazione” di un tot di copie del titolo. Normalmente, dopo circa due mesi, il libro è stato stampato e viene lanciato sul mercato, contemporaneamente, in tutte le librerie (i nostri libri escono sempre il giovedì, in libreria e il venerdì successivo in fumetteria).

Quali sono gli strumenti per stimolare una libreria o una catena di librerie a comprare un titolo, o a comprarne più copie?

In questo momento storico, anche se è banale dirlo, tutti i commercianti sono un po’ in crisi. Lo sono le persone che lavorano, che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese e che quindi non spendono, nemmeno per comprare i libri e, di conseguenza, anche le librerie fanno fatica a fare nuovi acquisti. Per questo, spesso, ci si trova di fronte a negozi che scelgono addirittura quali titoli comprare e quali no. Diciamo che la “presenza” come si dice in gergo, cioè almeno una copia di ogni titolo nei negozi, è l’unico modo per far sì che questo sia visibile “fisicamente”. Per convincere un libraio ad avere più copie nel suo negozio si possono offrire alcuni punti di sconto in più o dilazionare il pagamento di 30-60 giorni oltre la norma. In questo modo, il libraio che sa di avere almeno tre mesi per vendere un prodotto prima di doverlo pagare, acquista più serenamente. Ma queste concessioni devono essere sempre legate a un risultato, anche perché l’editore, per contratto con il distributore, incassa 60 giorni dopo che il libraio ha pagato.
Per fare un esempio pratico, se si concede oggi un pagamento di 90 gg sull’acquisto di 10 copie dell’ultimo Zerocalcare (prezzo 13 euro), con un sovrasconto di 3 punti percentuali succede questo:

3 luglio – ordine
31 ottobre – scadenza pagamento al libraio
31 dicembre – incasso da parte di BAO.
E BAO incassa il “netto”, cioè il totale del prezzo di copertina (130 euro) meno lo sconto concesso al libraio (mediamente 30-35% + il sovrasconto di 3 punti), meno la provvigione all’agente che ha mediato l’ordine, meno quella che va pagata al distributore per tutti i servizi relativi a questa consegna.
Se va bene, all’editore rimane circa il 40% del valore, quindi, in questo caso circa 50 euro ed essendo all’inizio del mese (il pagamento parte sempre da fine mese) questi soldi arrivano circa 6 mesi dopo…

Un altro strumento da utilizzare è il materiale promozionale che l’editore prepara per la presentazione dei propri libri quando ancora questi non esistono fisicamente, cioè il cosiddetto “copertinario” che noi in BAO si chiama Gazzetta di Cliff. Il nostro staff grafico-editoriale prepara cinque volte all’anno una rivista in cui si può vedere “su carta” la copertina (spesso definitiva) e dove vengono illustrate in poche parole le caratteristiche di ogni libro e gli “argomenti di vendita”. Questo folder è il biglietto da visita con cui il venditore si presenta al libraio e, quando è possibile, si accompagna la presentazione con una copia della versione originale del libro (se è una traduzione), con estratti e/o preview del libro finale. Oltre alle fredde condizioni commerciali, condividere la passione e l’interesse per ogni titolo, per la sua trama, per la bravura dell’illustratore con chi deve fare un acquisto è l’arma vincente per fare arrivare almeno una copia nei negozi. Quando è possibile leggere in anteprima un titolo o quando si promuove un nuovo libro di un autore già pubblicato, è ancora meglio. Personalmente, leggo tutti i titoli BAO e questo mi permette, mi ripeto, di condividere la passione con il mio interlocutore, raccontargli una trama con entusiasmo, fargli notare il tratto del disegno, l’uso dei colori (vedrete che bellezza il prossimo libro di Nicolò Pellizzon). Nel nostro mestiere, per come l’ho fatto io in quasi 25 anni, è fondamentale unire il vantaggio commerciale con la qualità dei libri di cui si tratta… ma ne parleremo ancora tra poco.

In questa azione, quali sono i principali ostacoli che incontra un commerciale, o un agente?

Come ho già detto, il momento storico è difficile, quindi un libraio tende a non comprare. A questo si aggiunge la resistenza di molti interlocutori verso l’oggetto graphic novel o fumetto in generale (vedi tuoi post precedenti) perché considerato un genere troppo di nicchia. Inoltre, nonostante le librerie abbiano il diritto di reso su tutte le pubblicazioni distribuite da Messaggerie, molti librai non se la sentono di rischiare con prodotti di cui non hanno la certezza di una vendita, al di là delle difficoltà finanziarie. Infine, le major hanno uno strapotere che spesso riesce ad imporre ai librai elevate quantità di copie, con conseguente occupazione di grandi spazi, sottraendone agli editori “minori”. Solo i librai più lungimiranti, interessati a sperimentare e alla qualità investono su terreni meno conosciuti. In questo caso il lavoro è più facile, ma richiede una preparazione più approfondita, anche se gratifica di più. È il caso dei nostri libri e lo dico senza problemi di modestia, visto che non sono io a “crearli”, ma ho solo la fortuna di poterli vendere.

Senza rispondermi “vendere molte copie”, che cosa può fare un editore per rendere appetibile un libro a chi poi lo deve vendere al dettaglio?

Ribadisco che la qualità degli strumenti promozionali è importante, ma anche la competenza di chi “racconta” un libro, che spesso di fatto ancora non esiste, è fondamentale. L’editore deve comunque sempre fare dei libri la cui qualità è al massimo, con cura, cercando sempre di creare nel futuro lettore l’aspettativa di qualcosa di sorprendente, non solo nel contenuto, ma anche nella confezione del prodotto. Meglio le alette nei libri brossurati piuttosto che no, meglio un cartonato di un brossurato, meglio un contenuto inedito che una edizione più semplice. Il tutto cercando di contenere al massimo il prezzo di copertina. Con tutto questo, un libraio è invogliato a comprare anche le cose più “difficili”, quelle meno conosciute e a consigliare ai suoi clienti lettori un libro piuttosto che un altro, con la certezza che questi lettori torneranno da lui a chiedergli altri consigli.
Insomma, parafrasando gli spot più biechi, bisogna badare sempre al rapporto qualità-prezzo.

Qual è stata la missione commerciale più difficile di tutta la tua carriera? E la lezione più importante che hai imparato, in questi anni?

Questo non è un lavoro difficile, se lo ami. Il problema si porrà il giorno in cui mi renderò conto che non mi diverto più… In ogni caso, dopo 25 anni nel campo dell’editoria, forse la cosa più complicata fu all’inizio della mia carriera di agente, quando dovevo vendere i libri di una casa editrice che pubblicava praticamente solo epistolari (tra personaggi famosi, eh) e la mia zona di competenza arrivava fino a oltre 500 km da casa. Inoltre, all’epoca, non esisteva il concetto di orario continuato, per cui se ritardavi 10 minuti e trovavi un negozio chiuso per la pausa pranzo, si doveva aspettare la riapertura pomeridiana. Ma la cosa più ardua è stato completare una campagna promozionale di libri per ragazzi in un pomeriggio, al telefono, chiamando tutti i clienti e convincendoli ad incrementare il loro ordine iniziale. L’obiettivo era di migliorare il lancio di 200 mila euro, pari a quasi il 25% del totale. Fatto.
La lezione che ho imparato in questi anni è che i libri sono vivi, vanno trattati con passione e vanno presentati ai librai, e quindi ai lettori, con il massimo del rispetto, sia per gli interlocutori che per i libri stessi. Per questo è un piacere parlare dei nostri libri e per questo sappiamo sempre concedere il giusto, quando sia i libri che i librai lo meritano. È ciò che rende questo lavoro più facile di quanto sembri. Ma non “troppo” facile: quando qualcuno ti mostra una strada troppo in discesa, è sempre meglio diffidare, regola che vale, in generale, per tutto il commercio.

Fa’ un augurio al mercato del libro in Italia per i prossimi cinque anni.

Il mio augurio al mercato del libro è che aumentino le librerie di qualità, dove trovare personale preparato e dove i lettori possano entrare volentieri ed uscirne soddisfatti (e con uno o più libri nel sacchetto). Sono certo che se i libri, dalla narrativa tradizionale a quella a fumetti, dalla saggistica alla manualistica, vengono considerati come un bene prezioso che arricchisce le persone (e se ci liberiamo per sempre dei i volumi da 90 centesimi rischia di arricchire anche i librai) la strada è segnata. I progetti di molti dei protagonisti del mondo editoriale sembra che vadano proprio in questa direzione, anche se per ora sono quasi sempre e solo belle parole…

E ora da’ un consiglio a chi volesse intraprendere una carriera da commerciale nel mondo dell’editoria.

Fare il commerciale nel mondo dell’editoria non è come negli altri settori. Almeno dal mio punto di vista. Per me significa amare gli oggetti che tocco tutti i giorni, significa leggere i miei libri ed entrarci dentro. Per questo è un successo personale quando un libro vende meglio della media e uno sgarbo all’autore (e all’editore) quando succede il contrario. Forse chi vende auto ragiona allo stesso modo, le guida tutte. O chi vende formaggi li assaggia tutti…. Credo che l’unico consiglio sia quello di credere negli stimoli che questo lavoro può dare, credere che, oltre all’indispensabile fatturato, esiste anche la passione, la curiosità. Credere nelle nuove sfide che si presentano ogni giorno e che, almeno in BAO, sono veramente tante. Se non avete dentro di voi questa predisposizione, lasciate perdere.

G’è Grisi!1!

No, il mercato del fumetto non è così.

No, il mercato del fumetto non è così.

È vero, far accettare alla società civile che il Fumetto abbia un posto nella conversazione culturale è un lavoraccio, ma a volte dobbiamo ammettere che il lavoro che facciamo ci dà soddisfazioni.
Nella classifica Nielsen (quella che elenca i primi cinquemila libri più venduti in Italia) della ventiseiesima settimana dell’anno (la scorsa), BAO ha sei titoli. Più di qualunque altro editore di fumetti. Quello nella posizione più alta la 1171esima, è La profezia dell’armadillo, che è uscito due anni fa e che è in classifica da centodue settimane. A questo punto, direi che “fenomeno” è chi ancora crede che l’autore di quel libro sia un furbo cavalcatore di mode.
Tra i miei compiti prima di poter andare in vacanza c’è proprio quello di ordinare le nuove ristampe di Profezia dell’armadillo, Un polpo alla gola e Ogni maledetto lunedì su due. Se non lo facessimo subito, ai primi di settembre sarebbero tutti e tre esauriti. L’ordine totale, tra i tre titoli, è per ventitremila copie di ristampa. Appena dopo la pausa estiva dovremo ristampare altri sette titoli.
Quando, nel 2010, pubblicammo I Kill Giants, con una tiratura di millecinquecento copie, non pensavamo che ci sarebbero voluti tre anni, per venderle. Quando, nel 2013, abbiamo rinnovato il contratto e ne abbiamo ristampato altre tremila copie (siamo pazzi, vero?) non pensavamo che le avremmo terminate nel giro di un anno esatto. (forse non così pazzi).

Visto che questo post potrebbe farvi pensare che siamo dei fighissimi broker di fumetti, capaci di anticipare le mode e cavalcare gli umori della società, forse dovrei parlarvi di come fare l’editore sia davvero un lavoro di pazienza e nervi saldi, e di come una Casa editrice si occupi di

  • dare un valore nei bilanci alle proprie scorte di magazzino.
  • Deprezzare progressivamente il valore delle scorte man mano che invecchiano.
  • Azzerare il valore delle scorte quando un libro giunge al termine della sua vita editoriale.
  • Decidere se rinnovare un contratto in base alle prospettive di performance futura di un titolo.

E per tutto il tempo di queste procedure, continuare a pagare le spese per la conservazione e la movimentazione del magazzino, in attesa che un titolo si riveli, si confermi o si trasformi in un successo.
Ma sono cose noiose di cui vi parlerò lunedì.

“Se” – Quinta puntata

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Se stai leggendo queste righe da una scrivania che tra sei mesi potrebbe non essere più la tua;
Se fai questo mestiere perché credi davvero di essere la persona giusta per farlo, non perché ti sembra il mestiere giusto per te;
Se soffri la precarietà imposta a chi opera in editoria, ma non vuoi mollare, perché credi che lavorare meglio sia possibile;
Se sai anche tu che la tua preparazione è iniziata in realtà il tuo primo giorno in Casa editrice;
Se tutto ciò che hai visto fare sbagliato è diventato per te ricchezza quanto le cose che hai imparato a fare giuste;
Se tutto ha un senso quando vedi qualcuno in un negozio parlare a qualcun altro di un libro cui hai lavorato, e quel che senti ti appassiona come se ne sentissi parlare per la prima volta (ed è così, credimi);
Se ancora non riesci a spiegare ai tuoi genitori cosa fai esattamente, ma dentro di te senti di saperlo con assoluta precisione;
Se vivi il tuo lavoro come una storia di cui non hai fretta di conoscere il finale, perché ami a tal punto come è scritta,
allora forse non ci conosceremo mai, ma saremo per sempre alleati, e ti prometto che ti sto già guardando le spalle.
Resisti.