Costruire una copertina – Prima parte

Questo post è il primo di tre che si occuperanno di un tema editorialmente spinoso e sul quale è stato detto di tutto, nei decenni: le copertine. Partirò da un esempio virtuoso, poi esplorerò le esigenze editoriali e autoriali nei confronti della copertina di un libro, per poi concludere cercando di delineare dei princìpi-guida, che ovviamente non sono regole infallibili o assolute, e saranno comunque molto specifici all’editoria del Fumetto.

Non so se ci avete mai fatto caso, ma ci sono due tipi di proverbi: quelli basati sul buonsenso e sull’osservazione empirica (Rosso di sera, bel tempo si spera, oppure Chi dorme non piglia pesci) e poi ci sono quelli sulle aspirazioni morali, che a volte secondo me sono più difficili da difendere. L’abito non fa il monaco è una bellissima verità, filosoficamente, ma è anche vero che in generale, se ti vesti bene, chi deve fidarsi di te è più incline a farlo. In inglese questo proverbio ha due equivalenti: per dire che a volte l’apparenza trasandata nasconde qualità umane superiori all’aspetto si dice The clothes don’t make the man, mentre per cautelare dal facile entusiasmo nei confronti di qualcosa di attraente, ma non per forza di valore (un po’ come il nostro Non è tutto oro quel che luccica), si dice You can’t judge a book by its cover.
E in effetti non dovremmo giudicare un libro dalla copertina. Però lo facciamo sempre.
La copertina di un romanzo in prosa ha il diritto, in molti casi, di essere un non sequitur concettuale, perché in molti casi è la sola immagine associata a quel libro, mentre nel caso dei fumetti la responsabilità della copertina è immensa, perché deve essere non discordante rispetto allo stile grafico dell’interno, che il potenziale lettore ha modo di conoscere anche semplicemente sfogliando il volume in negozio, prima di portarlo a casa con sé.
Sfogliare un fumetto che non si conosce dà al potenziale acquirente molte più informazioni di quante non ne dia un romanzo in prosa. Si ha la sensazione di conoscerlo già, ed è per questo che è così importante che la copertina non tradisca le sensazioni che il libro ha trasmesso di primo acchito a chi lo ha preso tra le mani.
Quando è venuto il momento di creare la copertina di Da quassù la terra è bellissima, il più recente romanzo grafico di Toni Bruno, c’era da considerare una serie di problematiche: il libro parla di cosmonauti, di traumi psicologici e della guerra fredda. Cercare di comunicare tutte queste cose in una sola immagine poteva essere un’impresa.
Sapevamo che al centro di tutto ci doveva essere Akim, il cosmonauta, per una serie di ragioni: è uno dei due protagonisti assoluti della storia ed è un personaggio con la cui presenza è facile empatizzare.

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Nei fumetti italiani è fondamentale la presenza di una figura umana in copertina. Le copertine simboliche, di solo design, generano meno empatia e meno interesse, con l’eccezione di quelle che abbiano il nome di un autore amatissimo sopra. La rispondenza del contesto della copertina alla trama è relativamente meno importante, ma per quanto ci premesse trasmettere il senso di alienazione che Akim prova dopo la sua missione spaziale, ci dovevamo arrendere al fatto che nel libro non lo si vede mai nello spazio.

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Anche la soluzione pregna di pathos emotivo era da scartare: la storia di Toni è emozionante, ma come lo è L’attimo fuggente, non come Aliens. C’era bisogno di trovare un equilibrio tra il mondo da cui Akim è stato traumatizzato (lo spazio) e quello nel quale si sente allo stesso tempo bloccato e fuori posto (la terra).

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Dopo un tentativo concettuale (una stanza che potrebbe essere un abitacolo spaziale, ma che in realtà si apre su un normalissimo cortile terrestre) e uno psicanalitico (Akim sulla poltrona di casa, ma nello spazio)

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ci siamo resi conto che potevamo usare l’abbigliamento di Akim per dire “spazio” e che potevamo usare lo sfondo per dire “guerra fredda” o almeno “anni Sessanta”.

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La stupenda finezza narrativa di questo bozzetto è che la cucina è a gravità zero, ma il solo che sembra attrezzato per il cosmo ha i piedi incollati per terra, perché non riesce a volare. Dal punto di vista contenutistico, c’era tutto quello che volevamo, ma non soddisfaceva la mia regola dei tre metri.

La regola dei tre metri è la teoria provocata dalla mia terrificante miopia: se passo tra gli scaffali in libreria e la copertina di un libro non mi attira da una certa distanza, non ha fatto il suo lavoro e non è colpa mia se ignoro una storia potenzialmente stupenda. Nel prossimo post parleremo un sacco della regola dei tre metri, perché ragioneremo di parametri generali e finiremo per sbatterci contro ogni volta che crederemo di aver evinto una regola per creare buone copertine. Nel caso di questo bozzetto di Toni, non c’era alterazione cromatica o di illuminazione che potesse rendere questo disegno impattante come serviva per assicurare l’attenzione del pubblico tra gli scaffali delle librerie.
Quindi:

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Ecco. La sensazione di un crash landing, di un atterraggio imprevisto, dal cosmo direttamente nell’America rurale degli anni Sessanta (che strizzava l’occhio al fatto che Akim è russo, ma Jones è americano, e le due realtà sociali collidono nella storia). La postura fisica di Akim che sembra volersi scusare dell’intrusione. La sensazione di un’entità aliena che trafigge la quotidianità, e che allo stesso tempo trasmette un disagio. C’era bisogno di lavorare sulla posa del personaggio, cosa che Toni ha subito fatto.

Da quassù prova pose per cover

E poi c’era bisogno di spostare la staccionata perché ingombrasse meno e liberare spazio perché il logo BAO non avesse scomode tangenze con elementi del disegno. A volte non ci preoccupa mettere il logo in IV di copertina, ma ben più seria della mia regola dei tre metri è la regola dell’un-due-tre, quella che decreta quali tre elementi vengono notati da chi guarda una copertina. Sapevamo che il nome di Toni era poco noto ai più, quindi non sarebbe stato uno degli elementi notati per primi. Sapevamo che si sarebbero visti, nell’ordine, il disegno, il titolo e il logo BAO, del quale i lettori ormai si fidano, soprattutto quando non conoscono già il libro che hanno tra le mani.

Da quassù Bozza Cover II

Quando ho avuto questa bozza ho capito che il libro al quale Toni aveva lavorato due anni, e lungo tutta la cui lavorazione ero stato al suo fianco, sarebbe stato un successo: perché che era bello lo sapevo da sempre, ma non potevo avere la certezza che i potenziali lettori ci si sarebbero avvicinati. Quando ho fatto vedere questa bozza in redazione ho avuto solo reazioni di entusiasmo. Nessuno ha sollevato dubbi. Toni ha avuto subito luce verde.

Da quassù Bozza Cover Definitiva

Ho voluto cominciare questo lungo discorso sulle copertine con un caso in cui tutto è andato liscio e la visione dell’autore è coincisa con quella dell’editore e della redazione. Ringrazio Toni Bruno per avermi permesso di usare questi bozzetti inediti, e la settimana prossima parleremo di tutto ciò che può andare storto in una copertina. Perché ci sono libri che non parlano di avventura, ma creare la loro copertina è quasi sempre un’avventura.

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Guardar nascere un libro

Venerdì scorso ho caricato sulla macchina Gigi Cavenago, il copertinista di Dylan Dog, e Lorenzo Bolzoni, capo grafico BAO, e li ho portati a Mestrino, in provincia di Padova, allo stabilimento delle Industrie Grafiche Peruzzo, a vedere stampare l’edizione BAO di Mater Dolorosa, l’episodio del trentennale di Dylan Dog, scritto da Roberto Recchioni e che Gigi ha disegnato e dipinto in digitale.

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Il motivo del viaggio, e della nostra levataccia, era semplice: sapendo che il suo lavoro sarebbe stato originariamente stampato in rotativa su una carta molto porosa, Gigi aveva lavorato per un anno calcolando le masse, le luci, i colori e i contrasti cromatici in modo da cercare di anticipare i problemi di assorbimento dell’inchiostro in fase di stampa che potevano manifestarsi nell’edizione da edicola della storia. A onor del vero quell’albo è stato stampato molto bene, in parte per merito degli accorgimenti di Gigi e in parte perché la tipografia ha saputo compensare le problematiche che erano dietro l’angolo. Lavorare all’edizione da libreria per Gigi era come essere operato di cataratta nell’intervallo di un film e assistere al secondo tempo con la vista in perfette condizioni: rischiava di essere abbacinato dalla resa di stampa. Era necessario che istruisse lui i tecnici della Peruzzo sugli aggiustamenti di colori da effettuare.
Sono stato io a insistere per questo viaggio (me lo sono dovuto ricordare, davanti allo specchio, alle cinque del mattino), perché quando costruiamo un libro ho tre regole: fidati dei materiali che hai scelto, fidati delle persone che li maneggeranno, ma soprattutto fidati dei tuoi occhi. Quella con un tipografo, come ogni relazione che vale davvero la pena, è una storia fatta di costante comunicazione.
Quando siamo arrivati, c’era questo cartello di benvenuto:

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E intendo che era stato messo in ogni ufficio dell’azienda. 🙂
Avevo chiesto alla tipografia la cortesia di allestire su due macchine contemporaneamente la stampa di interni e copertine, perché volevo che Gigi potesse valutare più cose nelle ore a nostra disposizione. Loro si sono superati, dedicandoci tre macchine: la Heidelberg da 10 colori per gli interni, e altre due macchine per i risguardi e le copertine.
Per prima cosa Gigi si è fatto spiegare come funzionano le moderne macchine per la stampa offset, guidato dal competentissimo responsabile, Alessandro Levorin:

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E poi siamo andati ad analizzare i primi fogli macchina della segnatura numero 1, il primo fascicolo di sedici facciate del libro.

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Gigi ha spiegato ai tecnici cosa voleva correggere, e i calamai di stampa sono stati regolati opportunamente. La carta di questa edizione è la Fedrigoni Symbol Matt Plus, una delle più belle patinate opache che abbiamo mai usato, nella versione da 150 grammi al metro quadro.

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Ci sono voluti circa duecento fogli di prova per mandare a regime le correzioni, sotto lo sguardo attento del tecnico di macchina Alberto Cusinato.


A quel punto ho chiesto se fosse possibile stampare subito dopo la segnatura numero 1 la numero 3, perché è quella con le scene diurne a Moonlight, le più diverse – cromaticamente – dal tono generale della storia. Ci è stato detto che per terminare le diecimila copie della prima segnatura ci sarebbe voluta circa un’ora, così siamo andati a controllare la stampa dei risguardi.

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Poiché si trattava di stampa monocromatica, ci è voluto poco per essere rassicurati dal risultato, e siamo andati a guardar stampare le copertine.


La prima è stata la Variant, che ha richiesto qualche aggiustamento, ma è stata ben presto licenziata con piena soddisfazione da Gigi.

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Quando siamo passati alla regular è stato necessario per prima cosa cambiare le lastre di stampa.

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Il procedimento è semplice, ma richiede grande precisione, e Gigi e Lorenzo non hanno perso occasione per farselo raccontare nel dettaglio da Fabio Cusinato, geloso custode delle Heidelberg “storiche” della Peruzzo.

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Poi la stampa della seconda copertina è iniziata e c’è stato bisogno di domare i valori del giallo. Gigi era ormai perfettamente in sintonia con il procedimento produttivo e ha potuto dare istruzioni precise a Fabio.

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A regolazioni effettuate è stato ben lieto di firmare l’approvazione alla stampa sul primo foglio macchina definitivo.

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Il tempo di fare un paio di dediche nell’ufficio dei grafici…

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… ed è arrivato il momento di andare a controllare i primi fogli in uscita della segnatura 3, con i suoi azzurri intensi.

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Questo ha permesso ai tipografi di avere una guida cromatica alla quasi totalità delle casistiche del libro, il che ci ha dato la tranquillità necessaria per fare qualche ultima raccomandazione e poi ripartire, sapendo che il volume sarà rispondente alle aspettative dell’uomo che lo ha disegnato.

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La ragione per cui siamo dovuti partire all’alba per arrivare presto in tipografia era semplice: per stampare diecimila copie di questo libro di centosessanta pagine, servivano venti ore di lavoro su tre turni, tra venerdì e sabato. Ora il volume è in legatoria, e il 30 marzo sarà in tutte le fumetterie e librerie d’Italia. E noi sentiamo di aver fatto tutto ciò che potevamo per rendere la visione di Roberto e di Gigi nel modo più fedele, vivido, puro e rispettoso.
E nonostante la levataccia e le occhiaie, è stato un privilegio poter fare le cose per bene, e regalare a Gigi Cavenago l’emozione di veder nascere quelle pagine per la seconda volta, nella loro terza vita, dopo quella sullo schermo del suo computer e quella dell’edizione da edicola.

(Un grazie affettuoso e sincero a Lorenzo Menini e Gianluca Politi, che ci hanno fatto sentire più che a casa, che di “Casa editrice” è senz’altro la nostra parola preferita.)

Costruire i libri – The medium is the message*

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Costruire un libro non vuole dire solamente assemblare le idee e le parole. Vuol dire dare forma tangibile alle emozioni che contiene.
I libri a fumetti richiedono una consapevolezza maggiore dei materiali e del loro utilizzo rispetto ai testi in prosa. Questo perché è indifferente – ai fini dei concetti – con quale senso si legga un romanzo: su carta o su schermo lo si legge con la vista, negli audiolibri lo si legge con l’udito, in Braille lo si legge con il tatto. Quando la combinazione di parole e immagini è indissolubile per poter fruire di una storia, il coinvolgimento dei sensi dev’essere guidato dalla sapienza tecnica di chi progetta e di chi costruisce. Per questo lavoriamo a così stretto contatto con i tipografi e perfino con le cartiere. La vista ha bisogno di essere appagata dalla giusta brillantezza dei colori, quindi si sceglie la carta in base all’assorbenza (degli inchiostri) e all’assorbanza (della luce). Gli inchiostri possono essere vegetali oppure ossidativi, e il modo in cui si rapprendono sulla carta è differente, va preso in considerazione.
Lo spessore della carta può essere influenzato meramente dal suo peso in grammi al metro quadro, o essere inferiore a ciò che il tatto percepisce se la carta ha una “mano” (espressa in centimetri cubi su grammi) superiore a 1. Per esempio: perché usiamo carte spessorate per le nostre edizioni di Dylan Dog? Per restituire la sensazione tipica di un albo Bonelli: qualcosa che pesa tra le mani meno di quanto l’occhio aveva immaginato.
La finitura delle copertine (plastificate o con vernice di macchina? Carte speciali, come l’Imitlin? Riserva UV lucida su superficie opaca? Inchiostri fluorescenti in aggiunta alla quadricromia?), la scelta se cartonare o brossurare un’edizione, per tacere del formato fisico (sempre influenzato dallo spessore previsto per il corpo libro) sono fattori che influenzano in ultima analisi il successo di un libro. Qui ci studiamo quasi due anni per ciascun libro che creiamo da zero, e anche quando importiamo un libro dall’estero ne studiamo la natura attentamente.
Perché una persona saggia mi ha detto una volta che la carta bianca vale quel che costa, mentre la carta stampata non vale più niente. E da quel giorno ho deciso che qui in BAO gli avremmo dimostrato di poter aumentare il valore della carta, imbrattandola, o che per lo meno la avremmo imbrattata con stile. E quando un libro restituisce le giuste sensazioni nelle mani di un potenziale lettore (e acquirente), quel libro funziona, ha una chance di diventare un successo. Le belle storie se lo meritano.

*Mille scuse a Marshall McLuhan per avergli rubato il titolo.

Il nome delle cose – Piccola nomenclatura per una fruizione consapevole del libro

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A volte ho la sensazione che ci sia un po’ di confusione, tra i lettori, sulle finiture dei libri, sulle diverse tipologie di edizione.
Allora, a uso e consumo dei lettori esigenti, e senza alcuna pretesa di completezza, ecco un rapido glossario per orientarvi.

Un fumetto può essere stampato in rotativa o in piano. Sia che la stampa avvenga con la bobina della rotativa, o i fogli di vari formati delle macchine in piano, in seguito le segnature vengono piegate e diventano sedicesimi (se il foglio o sezione di carta viene piegato fino a ottenere sedici facciate) o in trentaduesimi (se viene piegato fino a ottenere trentadue facciate).

Un fumetto può essere spillato, quando viene rilegato a punto metallico (spesso le graffette sono applicate con il fascicolo aperto verso il basso, la tecnica si chiama in questo caso in sella), brossurato, quando i sedicesimi (o trentaduesimi) vengono affiancati, incollati tra loro e poi alla copertina, che ha abitualmente il dorso (se lo chiamate costoletta è perché avete fame) squadrato. Se oltre alla colla le segnature sono vincolate tra di loro con un filo si chiama brossura a filo refe, se c’è solo la colla questa viene applicata in seguito a una fresatura delle segnature accostate, per assicurare una maggior penetrazione del collante e la brossura si chiama in questo caso fresata. Da fuori è molto difficile distinguerle, ma se aprendo il volume non vedete alcun filo, è fresata. Costa meno, ovviamente.

Se al corpo libro brossurato viene applicata una copertina rigida, l’edizione si dice cartonata. Il dorso può essere quadro o tondo. Se alla plancia della copertina viene applicato un cartone molto sottile e flessibile (quello di una buona cartonatura è spesso 2,5 millimetri, per dire), l’edizione si dice cartonato olandese. È ottima per opere di frequente consultazione, come enciclopedie tascabili. O Bone.

Quasi mai la copertina è stampata senza ulteriore applicazione di protezione. Se la finitura è molto grezza, probabilmente c’è solo l’applicazione di una vernice trasparente. Se è molto lucida, la carta è plastificata lucida. Se è satinata, è plastificata opaca. Se ci sono sezioni lucide su una superficie satinata, c’è la verniciatura serigrafica UV, “con riserva” ovvero su un’area delimitata ben precisa. L’applicazione della vernice UV avviene attraverso le maglie di un filtro speciale. Allargandole, o dando successivi passaggi sulla stessa area, è possibile ottenere motivi trasparenti in rilievo, l’UV spessorato.

I fumetti sono spesso stampati o su carte uso mano (quelle più ruvide e porose) o su carte patinate, che possono essere lucide oppure opache. La grammatura della carta indica il peso di un metro quadro di quella carta. La mano della carta, ovvero il Volume Specifico Apparente della carta, espresso in spessore in micron diviso grammatura, indica lo spessore della carta rispetto al suo peso. Una carta con una mano superiore a 1 è detta spessorata. Serve a fare libri più spessi senza aumentarne eccessivamente il peso.
Le carte hanno diverse pigmentazioni, ma per generalizzare si può dire che le più usate sono bianche oppure avoriate.
La stampa avviene in offset, con macchine in quadricromia, ovvero che stampano successivamente ciano, magenta, giallo e poi nero. L’asciugatura dell’inchiostro avviene tramite un’unità termica (un forno, in pratica) e successivamente all’aria, oppure nelle macchine a tecnologia HUV tramite led a luce pulsata ultravioletta e successivamente all’aria.
Se la copertina è foderata da un ulteriore strato di carta, esso è detto sovraccoperta. Se la sezione superiore e inferiore delle pagine mostrano una striscia di tessuto colorato (che serve a proteggere la rilegatura nei cartonati), quelli sono i capitelli. Se il lavoro è fatto bene, sotto al tessuto ci sono uno o due strati di garza, ma potreste non saperlo mai. Il foglio di carta incollato al corpo del libro e alla copertina di un cartonato è detto risguardo, o sguardia.

Mi fermo prima di farmi prendere dall’entusiasmo e spiegarvi quando il colophon ha smesso di essere un tamburino, ma sono certo che parecchi amici mi aiuteranno ad arricchire questo post nei prossimi giorni.

Pensare il libro, dal soggetto all’oggetto

Dico sempre che quando mi informano che abbiamo ottenuto i diritti di un libro cui ambivamo sono felice come se avessi guadagnato qualcosa di prezioso. La verità è che di solito ho guadagnato per lo più il dovere di farne un bel libro. E non è una cosa scontata.
Nel Fumetto ancor più che nella narrativa in prosa è sempre più evidente che l’oggetto che si tiene in mano è importante almeno quanto le parole e le immagini che contiene. Voglio farvi un esempio pratico.
Quando a inizio primavera Vanna Vinci è entrata per la prima volta nella nostra redazione, abbiamo cominciato quasi subito a parlare di un libro che non sarà pronto fino alla primavera del 2016. Qualche giorno dopo, però, Vanna ci ha fatto vedere che l’estate prima aveva realizzato un adattamento letterario per Il Piccolo di Trieste, quotidiano al quale lavora Alessandro Mezzena Lona, responsabile delle pagine culturali molto sensibile al buon Fumetto. Le tavole de Il richiamo di Alma, ispirate all’omonimo romanzo di Stelio Mattioni del 1980, erano così belle che ci è venuta subito voglia di farne un libro. Ma come? Erano meno di trenta, enormi, complesse.

Le tavole de Il richiamo di Alma come apparivano su Il Piccolo nell'estate del 2013.

Le tavole de Il richiamo di Alma come apparivano su Il Piccolo nell’estate del 2013.

Al sottoscritto, nella vita, è capitato per esercizio di dover spezzare con linee immaginarie le tavole domenicali di Winsor McCay. Mi è sembrato subito chiaro che le pagine di Vanna potevano essere tagliate a metà per farne un libro di formato orizzontale. (Tecnicamente lo si chiama “landscape”, ma la cosa interessante è che all’estero quel formato è detto “all’italiana”.)
C’erano problematiche di ogni tipo: alcune vignette scavalcavano la linea mediana virtuale che avevo deciso di visualizzare sulle grandi pagine pensate per il giornale. Non volevamo effettuare un rimontaggio, perché si sarebbe perso il ritmo narrativo pensato da Vanna per la storia. Per fortuna lei si è subito detta disponibile a disegnare nuove vignette per ovviare ai necessari tagli.

Per quanto la storia fosse finita, Vanna ha dovuto disegnare parecchie nuove vignette.

Per quanto la storia fosse finita, Vanna ha dovuto disegnare parecchie nuove vignette.

Ci ha anche dato titoli e scritte per rendere il più possibile omogenea al suo stile grafico la veste del libro. Il che ci ha portati a un problema di natura pratica e commerciale: dopo il periodo del lancio, in cui il libro viene esposto di faccia negli spazi che le librerie destinano alle novità, un volume orizzontale diventa poco pratico da infilare a scaffale, perché sporge, e spesso viene impietosamente reso all’editore, per questo motivo.
Per “verticalizzare” il profilo del libro abbiamo deciso di infilarlo in un “astuccio morbido” il cui profilo simulasse il dorso di un normale volume BAO, con tanto di zoccolo con la testa di Cliff in basso (uno degli elementi che più rendono facili da localizzare i nostri libri sugli scaffali dei negozi).
Quindi, quando abbiamo chiesto a Vanna di pensare insieme a noi alla copertina, avevamo l’esigenza di dare all’astuccio un aspetto che non tradisse il libro che ci sarebbe stato dentro, pur essendo impossibile usare un solo disegno che funzionasse sia in orizzontale che in verticale.

I disegni di Vanna per la copertina e l'astuccio del libro.

I disegni di Vanna per la copertina e l’astuccio del libro.

L’impianto generale dell’impaginazione è stato curato dal grafico Cosimo Torsoli, che ha impostato anche la copertina e l’astuccio.

La copertina del libro è la composizione della figura di Alma sul disegno dello sfondo, per poterne gestire la posizione in base alla grafica del titolo.

La copertina del libro è la composizione della figura di Alma sul disegno dello sfondo, per poterne gestire la posizione in base alla grafica del titolo.

Poi quella vecchia volpe del suo capo, il Senior Designer Lorenzo Bolzoni, ha messo il monocolo da orefice e ha ricostruito segni di matita per i bordi di vignetta modificati, alterando valori cromatici vignetta per vignetta perché le nuove immagini realizzate per questa versione avessero la stessa intensità di colore delle vecchie scansioni realizzate l’anno prima per Il Piccolo.

Vanna e Lorenzo al lavoro sulle tavole del libro.

Vanna e Lorenzo al lavoro sulle tavole del libro.

Intanto, alla Castelli Bolis, veniva realizzato uno “specimen” del volume rilegato (si dice “specimen” quando è bianco, mentre una versione rilegata a mano del libro stampato in digitale per simulare l’effetto finale del volume si chiama “dummy”) per decidere le dimensioni esatte della fustella dell’astuccio. Il tracciato vettoriale della fustella (ovvero delle linee lungo le quali il cartoncino viene tagliato per confezionare l’astuccio) ci è stato mandato perché lo vestissimo con la grafica, e poi il libro è stato stampato.
Lo vediamo oggi per la prima volta, ma l’abbiamo visualizzato fin dal momento in cui abbiamo deciso di realizzarlo in questo modo. Il 10 ottobre sarà in libreria. Ci sono voluti sette mesi per trasformare una trentina di pagine di giornale in un libro rilegato, e credo che facendolo così ne abbiamo allungato la vita di parecchi anni.

Il volume e il suo astuccio, pronti per andare in libreria.

Il volume e il suo astuccio, pronti per andare in libreria.

Ecco, quando il libro arriva dalla tipografia io smetto di sorridere il sorriso che è cominciato quando ci hanno detto che quel libro lo potevamo fare.