Foreign Rights – Parte 1 – Alla fine della fiera

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A fine marzo di quest’anno, alla periferia di Madison, nello stato americano del Wisconsin, qualcuno spegnerà la luce del capannone della fabbrica Oscar Mayer e, per la prima volta in novantotto anni, nessuno la riaccenderà il mattino seguente. Il marchio storico dell’hot dog americano, che un tempo era il datore di lavoro più importante della città, con oltre quattromila dipendenti che lavoravano alla trasformazione di novecento maiali all’ora, è una delle vittime della ristrutturazione aziendale voluta dai nuovi proprietari della conglomerata Kraft Heinz, che possiede lo stabilimento. Tra le cose che ancora si producevano a Madison c’era il Liver Cheese, un affettato fatto comprimendo insieme parti di maiale, bacon, cipolle, e cucinando il tutto a forma di filone di pane. Poche persone sotto gli ottant’anni d’età ne sentiranno la mancanza.
Se fai per un secolo, bene, la stessa identica cosa, non è detto che il mercato ti sostenga per sempre.
Se poi il tuo prodotto sono le emozioni, le storie, le trame, per un’azienda diventa fondamentale rinnovarsi per restare pertinente al discorso sociale del mercato di cui è parte. Una Casa editrice è tra le entità che meno si possono permettere di cristallizzarsi e sedersi sugli allori e uno dei modi più semplici per tenere il proprio catalogo in contatto costante con le tendenze editoriali di tutto il mondo è quello di importare titoli dall’estero.
L’importazione delle licenze internazionali è una di quelle cose che il luogo comune vuole che si facciano da dietro una scrivania, come nella macchietta del finanziere che sbraita in numerose cornette telefoniche “Vendere!” o “Comprare!”, rivolto ai suoi scherani, in collegamento dalla borsa valori. Invece è un lavoro che richiede viaggi, contatto umano, chiarezza di idee e una discreta abilità con le lingue straniere. Io me ne occupo, per un’azienda o per l’altra, da quattordici anni. Neanche due settimane fa ero al festival di Angoulême, uno dei più grandi d’Europa, e l’unico con un padiglione dedicato unicamente agli incontri professionali tra editori.
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Vi sono piccoli stand, presi in affitto dalle Case editrici – non solo francesi – che hanno molti titoli da vendere all’estero. Gli appuntamenti-tipo durano mezz’ora e sono tenuti dagli agenti dell’ufficio diritti stranieri, per le aziende più strutturate, o dai titolari stessi, nel caso degli editori più piccoli. La danza dei convenevoli, della presentazione delle novità, dei PDF o dei campioni di libri da richiedere, è collaudata e si ripete più volte l’anno: gli editori che vedo a gennaio in Francia li rivedrò ad aprile a Bologna, in certi casi a luglio a San Diego, sicuramente a ottobre a Francoforte. Quando mi presentano le loro novità mi rassicura quando saltano quelle che sanno non andare bene per BAO, perché vuol dire che ho davanti qualcuno che ci tiene a veder andare bene i titoli che mi vende, e non a vendermi qualcosa a ogni costo. Se prima di una fiera ho già deciso di fare un’offerta per una licenza, spesso attendo la fiera per comunicarlo all’editore, perché so che gli agenti hanno degli obiettivi di fatturato, a ognuno di questi eventi, e che ricevono dei premi se raggiungono quegli obiettivi. Quindi se compro un titolo con un’offerta per e-mail a novembre non aiuto la persona che avrò davanti a gennaio ad avere il premio a fine fiera. Se non si tratta di una licenza oggetto di asta, o che temo possa essere contesa tra più editori, aspetto l’evento successivo come cortesia professionale verso chi deve fare la vendita.
La scelta dei titoli da importare è una faccenda complessa. Per restare nell’esempio francese, ci sono due cose che noi di BAO tendiamo a evitare sistematicamente: i classici della tradizione francese e i progetti che ci sembrano troppo studiati a tavolino.
Il primo caso va spiegato: il mercato francese del fumetto nelle librerie generaliste nel 2016 è valso 370 milioni di euro di vendite. Vi ricordo un dato di qualche post fa: in Italia ne vale dodici, al momento. Però il cartonato più venduto del 2016 è stato il nuovo episodio apocrifo di Blake & Mortimer, una serie creata da Edgar Jacobs nel 1946. Il volume ha venduto 280.100 copie in un mese, perché è uscito il 25 novembre. Il secondo in classifica è il nuovo episodio (sempre apocrifo) di Lucky Luke, che in due mesi (dal 4 novembre) ha venduto 271.000 copie (dati Gfk). È come se in Italia Tex uscisse una sola volta l’anno, in libreria. E non esiste un altro mercato al mondo nel quale Tex venda come in Italia. Quindi nell’enorme calderone del mercato del fumetto francese bisogna fare la tara dei grandi classici, ma anche dei fenomeni molto specifici: L’arabo del futuro, bella serie di volumi della stella del fumetto di realtà contemporaneo, Riad Sattouf, tra i suoi tre volumi nel solo 2016 ha venduto 370.000 copie. Il motivo è legato, oltre allo straordinario talento di Riad, anche alla pertinenza tematica in un paese che è molto più un melting pot culturale di quanto non lo sia l’Italia di oggi.
Quelli che definisco progetti studiati a tavolino sono invece i titoli, o le collane, che sembrano voler cavalcare una moda tematica. Ricordo che all’inizio della crisi economica del 2009 sono proliferate le serie sui segreti delle banche. Stranamente, per quanto dal punto di vista italiano si tenda a considerare il mercato francofono piuttosto colto, e quello americano più commerciale, nella mia esperienza il tentativo di sfruttare i temi caldi è sempre più palese e sistematico in Francia che negli USA.
Insomma, da ogni fiera l’editore a caccia di licenze torna a casa con un bel numero di proposte, campioni, manoscritti da leggere. La bussola con la quale orientarsi impone una prima scrematura in base alla qualità (perché non tutto quello che viene messo sul mercato è di altissima qualità, va detto) e poi, nella fase in cui si identificano i titoli per i quali si è disposti a fare un’offerta, bilanciando tra loro i titoli che possono diventare identitari per il proprio catalogo (ogni tanto noi ci diciamo cose come: “Non so se venderà, ma è davvero tanto BAO”), quelli che sono attesi dal proprio pubblico (perché di un autore già noto, o perché se ne è parlato molto in rete, per esempio) e una piccola parte di sperimentazione (i titoli che appartengono a generi o modi narrativi inusuali, per i quali non ci sono precedenti in Casa editrice e pubblicando i quali si rischia l’insuccesso.*)
Il processo di acquisizione consiste nello spedire al licensor (l’editore o agente che vende la licenza) una proposta in cui si specifica il progetto per l’edizione italiana, indicando la tiratura che si prevede di fare, il tipo di edizione fisica (soprattutto nel caso in cui non sia identica all’originale), il prezzo di vendita al pubblico e la percentuale di royalties offerta. Poi si offre l’anticipo, detto MG (Minimum Guarantee) che è una cifra che corrisponde alle royalties su un certo numero di copie vendute. Se quel libro vende meno delle copie coperte dall’anticipo, il licensor si tiene comunque l’anticipo (per questo è detto “minimo garantito”). Se ne vende di più, una volta l’anno l’editore italiano (il licensee) deve dire quante ne ha vendute, e pagare la differenza.
Facciamo un esempio pratico. Voglio pubblicare in Italia un libro che mi è stato proposto. Ne voglio stampare duemila copie, venderle a 15 euro l’una, e offro l’8% di royalties. Quindi devo offrire un anticipo che corrisponde a
(2000 x 15) x 8% = 2400 euro
Ma se offro questa cifra avrò pagato le royalties sul totale della tiratura prevista. Quindi anche sulle eventuali copie regalate alla stampa, su quelle fallate, su quelle che potrebbero restare invendute. Così propongo al licensor: posso darti un anticipo pari al 60% della tiratura? In questo modo se ne vendo di più, quando l’anno dopo ti faccio il rapporto sulle vendite, ti do la differenza.
Quindi propongo di pagare:
2400 x 60% = 1440 euro
Ai quali se il licensor accetterà verrà aggiunto il costo dei file per la stampa.
Dopo un anno, diciamo che mi è andata benino e ho venduto 1.815 copie. Devo dare al mio licensor le royalties in più:
[(1815 x 15) x 8%] – 1440 = 738 euro
Piccolo interludio: quando ci comunicano che un licensor ha scelto noi per un titolo cui tenevamo, ma per il quale sapevo che c’era concorrenza, gioisco come se avessi vinto al Superenalotto. Se fate un fermo immagine di me che comunico ai miei collaboratori con aria furbesca la conquista come in uno spot del whisky degli anni Ottanta, potete riflettere su quali strane cose mi diano gioia: in quell’istante sto alzando le mani al cielo perché mi è appena stato accordato il diritto di pagare l’anticipo, pagare i file per la stampa, pagare il personale per tradurre e impaginare, pagare la stampa e poi sperare che qualcuno vada a comprare quel libro.
Ma io gioisco perché se ho fatto l’offerta in quel libro ci credo, e come Ray Kinsella nel suo campo da baseball scavato nel mais dell’Iowa sento le voci e penso che “La gente verrà, la gente verrà eccome.”
Fin qui i freddi numeri, ma non lasciate che vi distraggano: il sottoscritto che salta sulla sedia è molto più importante.
Sì, perché il conto della serva lo sa fare chiunque, ma poi dare a un libro una onesta chance di avere successo e visibilità non è da tutti. Quando un licensor dice di sì a una proposta BAO, sa diverse cose: che tradurremo e stamperemo il libro con cura; che abbiamo una distribuzione capillare e in costante crescita; che il nostro ufficio stampa è efficace e dinamico; che quando invitiamo in Italia gli autori stranieri li trattiamo con i guanti bianchi. Dopo sette anni, queste cose le sanno anche se non abbiamo mai lavorato con loro in precedenza. Un’altra cosa che sanno è che tre-quattro volte l’anno possono guardare negli occhi Caterina e me e chiederci seriamente: “Come vanno le cose?” e che la risposta sarà convincente. Dopo sette anni, se chiediamo di fare una raccolta integrale di una serie, o di cambiare il formato di un libro, o di commissionare una nuova copertina, le legittime resistenze che all’inizio ci venivano opposte a questo tipo di esigenza ora sono state sostituite quasi sempre da un’unica risposta: “Siete voi a sapere cosa funziona sul vostro mercato.”
Ecco perché la chiarezza nell’esporre il proprio progetto, e l’onestà nell’ammettere i propri limiti, dubbi e difficoltà, sono importanti nelle transazioni internazionali quanto la puntualità nel saldare le fatture.
Magari un’altra volta vi parlerò della prima volta che abbiamo parlato di affari con Jeff Smith, e credevamo che il tassista ci stesse portando alla trattoria preferita di Manuel Vázquez Montalbán, e invece ci ha portati al cimitero monumentale di Barcellona. Oppure di quando ho mangiato un enorme gelato a mezzanotte con Gary Groth della Fantagraphics, e in conseguenza di quella scorpacciata abbiamo iniziato a pubblicare Daniel Clowes. Questo è un lavoro fatto di persone, di contatti, di affinità e di fiducia. Ci sono persone con le quali passo più tempo a parlare di famiglia o di politica che di fumetti, anche se ci conosciamo proprio perché hanno qualcosa da vendermi. Questa è la parte che viene dal bagaglio umano di ciascuno, e raccontarla è aneddotica fine a se stessa, non serve a insegnare nulla. Però è anche la parte che rende tollerabili quei lunghi corridoi asettici ricoperti di moquette che separano le file di stand, sempre uguali e sempre nelle stesse posizioni relative, come orbitali di elettroni, fiera dopo fiera, anno dopo anno. Le persone che ti parlano di loro e ti chiedono di te prima di proporti le ultime novità, e che dopo la fiera ti scrivono la consueta mail di follow up ricordandoti le cose che vi siete detti, ricordandoti che non sei solo un cliente, quelle sono le cose che ti fanno continuare a fare questo mestiere.
Per anni questa relazione è stata per noi a senso unico: andavamo alle fiere e compravamo. Poi abbiamo cominciato a vendere, e questo sarà l’oggetto della seconda parte di questo post, tra un mese esatto.
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* Il lavoro dell’editore è uno dei pochi, tra quelli che conosco io, che fa degli insuccessi una ricchezza. L’importante non è non pubblicare libri che il pubblico ignora, ma farlo in modo da capire, a posteriori, perché il pubblico li ha ignorati. Spesso un fiasco si rivela una lezione che porta a migliorare molto il proprio modo di lavorare.
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Cosa resterà del 2016*

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L’unica volta a memoria umana in cui Zerocalcare si sia divertito in televisione.

Avvertenza: questo posto è noioso. Parla per lo più di numeri.

Sapete qual è la cosa più difficile, dopo sette anni che lavoriamo per far crescere questa Casa editrice? Scegliere i libri. Anni fa era più semplice: andavamo di pancia, molto spesso, cercando di fare cose come non ce n’erano sugli scaffali. A volte andava benino, a volte andava male. Sapevamo che l’editoria è sperimentazione, sempre, e cercavamo di fare errori che ci insegnassero qualcosa di utile per il futuro. Così è stato, ma quando hai fatto un sufficiente numero di errori cominciano a scarseggiare gli errori che ti puoi permettere. Scopri un libro che ti piace e ti domandi se piacerà ad abbastanza persone, sapendo che se non sarà così avrai comunque degli obblighi nei confronti di chi te lo avrà stampato, di chi te lo avrà distribuito, di chi lo avrà cercato di vendere, dei tuoi dipendenti. Ogni giorno leggiamo libri e progetti e li valutiamo con entusiasmo e coscienza, ma ogni giorno ci domandiamo se l’obbligo di avere successo stia influenzando le nostre scelte.
Per quanto riguarda la seduzione dei libri “facili”, posso dire con coscienza che non ci siamo lasciati tentare. Quando pubblichiamo un libro pop, leggero, è perché ci piace davvero, non per blandire una fascia più ampia di potenziali lettori. A volte, però, rifiutiamo progetti o libri che non hanno nulla di sbagliato, ma non sono davvero per noi. In moltissimi casi non vanno bene perché non ci riconosciamo in quei lavori, sentiamo che non contribuirebbero all’identità del nostro catalogo. Altre volte, abbiamo paura che quei libri non interessino a nessuno.
Una parte di me vorrebbe poter essere l’editore che non deve preoccuparsi mai di questa possibilità, ma la verità è che non esiste, un editore così. Non preoccuparsi dell’esito commerciale di un’opera è prerogativa del suo autore. L’editore ha responsabilità molto ramificate. E ha una montagna molto impervia da scalare.

Un recente studio sulle abitudini di acquisto degli italiani ha rivelato che quasi il 20% dei nostri connazionali non spende denaro per nulla che sia considerato culturale. Mai. Significa che una persona su cinque di quelle che incontrate ogni giorno in un anno non compra un giornale
non compra un libro
non va al cinema
non va a teatro
non va a un concerto
non visita un museo o una mostra
non va allo stadio
non va in discoteca.

[Pausa: Sì, nello studio ci sono anche lo stadio e la discoteca. Chi lo ha fatto voleva disperatamente includere, in qualche modo, tutti, ma proprio tutti. E UN QUINTO DELLA POPOLAZIONE è riuscito comunque a sfuggire ai parametri di indagine. Riflettiamo.]

Visto che è assolutamente certo che queste persone non leggono questo blog (oddio, non è detto: è gratis. Magari il problema è quello) potrei dirne tutto il peggio, ma in realtà a me quelle persone interessano moltissimo. Perché voglio credere che prima o poi riuscirò a vendere loro un fumetto.
Questo post è un rapporto dal fronte più strano e imprevedibile, il più avanzato in territorio babbano di tutto lo sforzo bellico dell’industria del Fumetto: quello delle librerie generaliste. Quello dove gente che era entrata per comprare un romanzo a volte esce con (anche) un romanzo grafico.
Di quanta gente stiamo parlando, di preciso? Beppe Severgnini dice che probabilmente i fruitori di cultura in Italia sono cinque milioni di persone. La guerra non convenzionale che editori come BAO stanno conducendo ha un duplice scopo: far sì che sempre più persone tra quelle che sono disposte a comprare un libro a volte ne comprino uno a fumetti e portare sempre più persone in libreria e in fumetteria.
Non è una cosa facile, ma piano piano a quanto pare ci stiamo riuscendo.

La foto dell’anno, per me, resta quella della fila in Galleria Vittorio Emanuele a Milano la sera dell’11 aprile, in attesa dell’apertura serale della Feltrinelli Duomo per l’anteprima di Kobane Calling. Oltre duecentocinquanta persone, dall’ingresso della libreria fino a Piazza della Scala. E l’autore non c’era (lo ricordo bene perché era con me, a Roma, ad affrontare una scena analoga, che si è conclusa alle 4:20 del mattino dopo aver dedicato circa settecento copie del libro.)
Da quel momento, non c’è stato un solo operatore commerciale nel mondo del libro che non si sia interessato a noi e al nostro lavoro, l’anno scorso, e questo ha fatto bene anche a novità meno visibili ed eclatanti e al catalogo.

Nel 2016 abbiamo mandato in stampa 74 libri. (Il capo grafico mi informa che il mese più produttivo è stato settembre, con 8 titoli prima edizione e 9 titoli in ristampa, mentre il mese più scarico è stato marzo, con 3 libri in prima edizione e 1 libro in ristampa.)

Stando al piano editoriale avremmo dovuto stampare in tutto 349.000 copie dei titoli previsti, ma nel corso dell’anno si sono rese necessarie 86.500 copie di ristampe, suddivise tra ventiquattro titoli diversi. Questo è un numero molto incoraggiante, soprattutto perché non ha riguardato solamente i libri di prevedibile successo.

I libri di autori italiani sono quelli che hanno avuto il migliore aumento di performance, l’anno scorso. Se cinque anni fa la tiratura base per un titolo italiano era di duemila copie, quest’anno la maggior parte ha avuto tirature di partenza di tremilacinquecento copie e, spesso, ristampe entro pochi mesi.

Un capitale che il mondo del fumetto porta all’editoria generalista è la fedeltà del suo pubblico. In Italia sei considerato un lettore forte se compri sei-otto libri in un anno. Pensate a quanti fumetti comprate in un mese. Voi siete lettori fortissimi, invincibili. Ecco perché non devono stupire i risultati lusinghieri dei nostri titoli migliori.
I top seller dell’anno sono stati Kobane Calling, con quasi novantamila copie da aprile, Il buio in sala di Leo Ortolani, con poco meno di ventimila, Il suono del mondo a memoria di Giacomo Bevilacqua e Fight Club 2, che sfiorano le diecimila ciascuno, Saga Volume 6 e Da quassù la terra è bellissima, di Toni Bruno, rispettivamente con seimila e cinquemila copie vendute. Il porto proibito, che era uscito a maggio del 2015, nel 2016 ha venduto, tra la vecchia e la nuova edizione, altre quattromila copie.
Il nostro venduto, in libreria generalista, è aumentato circa del 20%, dall’anno precedente.

Dopo aver cambiato distributore per le fumetterie e aver implementato il catalogo Preview insieme alla Sergio Bonelli Editore, il nostro venduto in fumetteria è aumentato del 6%. La cosa più importante è che il catalogo, cioè i titoli degli anni precedenti, è diventato di più facile reperibilità, e questo è il primo sintomo della possibilità di migliorare realmente il numero di lettori che ci comprano in fumetteria. C’è ancora molto da fare, ma con paciencia y con carinho continueremo a lavorare per migliorare la situazione.
L’anno scorso il nostro Shop online ha registrato un calo di vendite, perché abbiamo deciso di avere meno prodotti in esclusiva, proprio per non penalizzare chi ci vende ogni giorno.
Per completezza di informazione, sappiate anche che le edizioni in digitale dei nostri titoli hanno visto un aumento delle vendite del 16% e le vendite alle fiere del 50% (la nostra Top 3 delle fiere, in ordine decrescente: Lucca Comics & Games, Salone del libro di Torino e Più Libri Più Liberi a Roma).

Il mercato del Fumetto nelle librerie generaliste nel 2016, in generale, ha visto una crescita del 16%, e ora vale quasi dodici milioni di euro l’anno. I fumetti in libreria sono circa il 9% del totale dei titoli di narrativa disponibili, ma in termini economici il mercato dei fumetti in libreria generalista vale circa l’1% del totale dei libri venduti nell’anno. C’è ancora molta strada da fare.
In questo anno appena concluso si sarebbe potuti crescere di più, ma un paio di Case editrici importanti per il mercato librario sono in una fase interlocutoria, per ragioni interne, e probabilmente questo ha limitato l’espansione del mercato, che si è comunque comportato in modo incoraggiante e soddisfacente.

Se siete arrivati a leggere fin qui nonostante sia ormai palese che l’avvertenza iniziale diceva il vero, vi domanderete perché io affronti solo i dati relativi alle librerie. Il motivo è duplice: in primis, BAO non vende in edicola e per le fumetterie sappiamo solo i dati che riguardano la nostra Casa editrice; in secundis, per il momento le librerie generaliste (e in piccola parte la GDO, la grande distribuzione, che riguarda pochissimo i fumetti) sono i luoghi dove è più probabile intercettare chi ancora non pensava di voler leggere fumetti o, preda ancora più preziosa, chi non pensava di poter spendere dei soldi per una cosa rettangolare fatta di fogli di carta stampati e tenuti insieme da una rilegatura su un lato. Sono loro, per noi, l’unicorno.
Ogni volta che convinciamo qualcuno che i fumetti non si comprano solo in edicola nei mesi estivi
ogni volta che portiamo un lettore occasionale in fumetteria per la prima volta
ogni volta che convinciamo un lettore di romanzi in prosa a non diffidare del Fumetto
ogni volta che dopo una presentazione un lettore ci confida che era la prima volta che veniva a un evento del genere
ogni volta che qualcuno compra due copie di un nostro libro perché “una la devo regalare”
registriamo una piccola vittoria. I numeri sono solo numeri, servono a farci prendere sul serio da chi deve capire che abbiamo sempre fatto sul serio.

Dopo sette anni non possiamo permetterci di scegliere di pubblicare un libro senza pensare alle conseguenze di quella scelta, ma continuiamo a sperimentare, e a prendere a spallate la nicchia in cui dieci anni fa era relegato il Fumetto nel discorso culturale italiano. Ora la nicchia è un piacevole trilocale e intendiamo continuare la ristrutturazione. Grazie per l’aiuto che ci date leggendoci, criticandoci, costringendoci a inventare sempre cose nuove per meritarci la vostra attenzione.
Il dato più importante, per me, è che mi fate ancora venire più spesso voglia di sorridere che di bestemmiare. Sarà un 2017 di fumetti meravigliosi.

* Perché non posso sempre citare poeti misconosciuti di inizio Novecento. Quindi oggi vi beccate Raf.

Catch me if I fall – Un buon editor guarda i funamboli dal basso

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Due pagine di storyboard di Asaf Hanuka per il secondo capitolo del libro che sta realizzando con Roberto Saviano, di cui sono l’editor. (Dialoghi provvisori)

In una raccolta del 1944, il poeta William Carlos Williams ha scritto la frase per la quale è forse più famoso: No ideas but in things; non vi sono idee se non nelle cose. Era vero della sua poesia, non è detto che valga per tutto e per tutti, ma i fumettisti lo sentono visceralmente, infatti i loro racconti sono dei costrutti, degli oggetti concettuali, che contengono idee che si articolano in storie.

Costruire una storia, per certi versi, non è diverso dal costruire una sedia: si può imparare osservando altri falegnami al lavoro, smontando le sedie che si hanno in casa, e poi provando e riprovando a costruirne di proprie. Le prime non saranno stabili o solide, ma è possibile imparare a costruire sedie degnissime, non solo funzionali, ma persino belle e non solo belle, ma addirittura capaci di ispirare le sedie di altri falegnami, senza aver mai preso una lezione specifica per imparare il mestiere.
Non tutte le sedie sono comode. Molte di quelle che sono degne di essere esposte nei musei non lo sono, ma sono lì perché hanno contribuito in qualche modo originale e fondamentale a far progredire il Grande Discorso Culturale Fondamentale sulle Sedie.
Ecco, certi falegnami hanno moltissimo talento, ma si esprimerebbero anche meglio se avessero un editor: uno che si è seduto su tantissime sedie, sa come renderle più comode e più solide, sa quali sono più richieste, ma non per questo disdegna le virtù di certe sedie per le quali c’è poco mercato, ma che hanno caratteristiche particolari, che le sedie comuni non possiedono.

Come per le sedie, l’editing delle storie a fumetti va fatto al novanta percento prima di cominciare a costruire, perché se poi la storia viene sbilenca e ha le giunture fragili, hai voglia a rimediare a cose fatte (ovvero a tavole disegnate).
Quindi quando un autore manda il soggetto di una storia, l’editing ha inizio. Ecco come succede nella nostra redazione e ovviamente questo non è il solo metodo, non è neanche il solo metodo che usiamo noi, e questo post non vuole darvi a intendere in alcun modo che dovreste fare così. È solo come funziona da noi e per noi.

Il soggetto viene messo alla prova facendo domande all’autore sugli aspetti che ha sviscerato di meno, e gli chiediamo di espandere il testo quanto basta perché tutti gli snodi narrativi e le evoluzioni emotive siano descritte in modo da farci capire come procede la storia, dalla premessa al suo finale. In pratica, quando nessuna frase di un soggetto ci fa venire voglia di chiedere “Perché?” il soggetto è approvato.

A questo punto le cose si fanno particolarmente delicate. La regola più importante della nostra redazione, per quanto riguarda i progetti originali che seguiamo dall’idea alla stampa, è di interferire il meno possibile con la creatività dell’autore (o degli autori), garantendogli però un’attenzione al suo lavoro che ci consenta di avvertirlo se sta facendo qualcosa che ci sembra distonico rispetto alla sua intenzione originale. Noi non chiediamo mai all’autore di darci una sceneggiatura completa (e in sette anni credo che la sola persona che abbia insistito per mandarcela – e intendo per posta, stampata e rilegata, in due corposi fascicoli – sia stato Alessio Spataro, per la lavorazione di Biliardino), ma abbiamo bisogno di una versione espansa del soggetto, un trattamento, se volete, per conoscere passo per passo le sequenze che l’autore intende inserire nella storia. Questo ci consente, quando ci farà vedere un gruppo di tavole consecutive, di dire cose tipo: “Ehi, qui hai cambiato soluzione, rispetto al trattamento!” Al che di solito ci sentiamo rispondere: “Sì, trovo che così funzioni molto meglio” oppure “Oh, caspita, hai ragione, Sagace Editor! Devo rifare queste tre pagine!” In entrambi i casi, la nostra opera di tutela delle sue intenzioni sarà stata efficace.
A volte sono necessari interventi minori, aggiustamenti di meccanica narrativa, che a raccontarli potrebbero far venire il dubbio che certi autori siano veramente distratti. La verità è molto diversa, e non ha a che vedere con l’abilità, il talento o il mestiere.
Alcuni autori creano affreschi così complessi che la lunghezza delle loro stesse braccia impedisce loro di lavorare a una distanza (metaforica) sufficiente dall’opera da consentire loro di vedere tutta la storia a colpo d’occhio. Per questo hanno bisogno di qualcuno che stia qualche passo più indietro, a far notare loro quando qualcosa ha proporzioni strane, o starebbe meglio in un’altra posizione.
Spesso questi interventi avvengono a livello di storyboard, quando cioè l’autore sta studiando il ritmo, sviluppando i blocchi narrativi della storia e negoziando gli spazi sulle singole tavole. In quella fase è più facile, per l’editor, sollevare dubbi o indicare punti che potrebbero essere risolti in modo più efficace. Nella mia esperienza, è anche la fase nella quale spesso l’autore è più disposto ad ascoltare, perché quando sta realizzando l’intero storyboard di un libro è l’autore per primo a mettersi in dubbio, ed è spesso contento di avere un riscontro dall’editor, che in fondo è una forma specializzata di lettore precoce.
Io ho suggerito una pagina a Zerocalcare, circa un anno fa, di una banalità disarmante, ma che gli ha risolto un problema: per creare il senso del passaggio del tempo dopo una scena in Kobane Calling in cui il suo personaggio deve spegnere il cellulare e sta per esserci un flash forward, gli ho suggerito di aggiungere una pagina di stacco nera, con al centro l’icona della batteria in ricarica tipica dei telefoni portatili. Narrativamente non ho alterato in nulla ciò che voleva dire, ma gli ho dato un’idea per trasmettere meglio il senso dello stacco temporale tra due scene. Lavorando ai due blocchi narrativi nello stesso periodo, non gli era venuta in mente questa cosa, assolutamente alla sua portata, ma che aveva bisogno di uno sguardo a mente fredda per essere messa a parole.
Quasi mai ci è successo di chiedere correzioni o modifiche sui disegni finiti di un libro. In altre Case editrici succede regolarmente, ma noi interveniamo solo se proprio un autore non si è accorto di una palese svista, e va detto che in sette anni ci è successo sicuramente meno di cinque volte.

Un romanziere scrive nella solitudine del proprio studio, indisturbato, in balia delle idee e dell’ispirazione, di intenzioni non alterate da alcuna influenza esterna. Poi consegna il manoscritto ed è possibile che il suo editor lo trasformi in qualcosa di completamente diverso (avete mai letto la prosa di Carver prima che ci mettesse le mani Gordon Lish?).
Viceversa, uno sceneggiatore cinematografico scrive tutto un film, che poi viene modificato più volte da più mani, e poi in fase di riprese emergono istanze che portano a ulteriori modifiche e insomma, dal momento in cui la sceneggiatura è terminata la lotta per proteggerne l’integrità dell’idea finisce solo in sala di montaggio.
Il Fumetto è a metà: non subisce tutte le interferenze dall’esterno di un film, ma non sempre nasce nel totale solipsismo della scrittura in prosa. Cioè, può, ovviamente; all’inizio abbiamo parlato di falegnami indipendenti e autodidatti bravissimi, ma a volte a un falegname viene voglia di andare da una fabbrica di sedie di cui stima i prodotti e dire: “Voglio fare una sedia per voi. La vorrei fare così e così. La volete? Mi guardate mentre la faccio, così mi aiutate a farla bella come le vostre altre sedie, ma mia, proprio mia, che si veda in ogni dettaglio che è mia?

A volte gli autori sono contenti dei suggerimenti, delle critiche, dell’editing. Altre volte si arroccano sulle loro posizioni e temono che cambiare quel singolo dettaglio comprometterà l’integrità della loro opera. A volte hanno ragione, e l’editor cede. Altre volte hanno torto, si affezionano più all’abbozzo iniziale della loro opera di quanto sarebbe utile per restare obiettivi sulla sua efficacia, e in questi casi a volte vince l’editor, a volte no, perché un autore scontento è una cosa molto più grave di un libro imperfetto, ma onesto e pieno di cuore.

Ecco, il lavoro dell’editor richiede molta diplomazia, altrettanta psicologia, la capacità di mettersi in dubbio e di far mettere in dubbio l’autore, devozione alla storia e soprattutto al suo cuore emotivo, che è la cosa che solo il Fumetto tra tutti i media narrativi è capace, quando è fatto bene, di esprimere con trasparenza assoluta. Il lavoro dell’editor richiede anche la capacità di ammettere che non si è adatti a fare l’editing di un certo libro, per mancanza di affinità umana con l’autore, o con i temi, o con lo stile narrativo.
Noi in BAO, per esempio, ieri abbiamo fatto una riunione proprio per ripartirci l’editing dei titoli originali previsti per il 2018. E non è bastato fare la lista e assegnare ogni libro a qualcuno: su un paio di titoli ancora ci stiamo interrogando, e vogliamo assicurarci che abbiano la persona giusta a proteggerli, a perfezionarli, a farli esprimere al meglio.
Quando riusciamo a far capire ai nostri autori che abbiamo a cuore la stessa cosa, che sappiamo che ogni libro fa storia a sé e che non abbiamo nessuna intenzione di farli con lo stampino, che siamo lì per loro, ma che non vogliamo fare nulla al posto loro, allora abbiamo vinto. E quando questa sintonia tra chi racconta la storia e chi ne agevola la trasformazione in un libro stampato è forte, i libri escono più belli.
Quando ad aprile dell’anno scorso alcuni colleghi hanno preso in mano davanti a me Da quassù la terra è bellissima di Toni Bruno, che è il suo quarto libro, ma rappresenta un balzo qualitativo immenso rispetto ai suoi lavori precedenti, mi hanno chiesto, in modo molto diretto, con ammirazione e curiosità: “Che cosa gli hai fatto?”
Io ho fatto spallucce e ho detto la verità, che è vera ancora adesso, nove mesi e seimila copie dopo: “L’ho fatto lavorare sereno.”
La magia l’ha fatta Toni. Io ero solo qualche metro sotto, pronto a prenderlo se fosse caduto. E, forse proprio perché sapeva che io ero lì, lui non è caduto.

Su questo tema ci torneremo, tra un paio di mesi, con un post di esempi pratici su libri veri.

It’s a long way to the top (if you’re into graphic novels)

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Per la seconda settimana consecutiva, Kobane Calling di Zerocalcare è stato sul podio della classifica generale di vendita dei libri in Italia, perdendo una sola posizione dal primato, perché è uscito il nuovo romanzo di Marco Malvaldi dedicato agli irresistibili vecchietti-detective del BarLume, di cui siamo fan anche noi qui in BAO.
Per chi si chiedesse le proporzioni esatte del successo di quello che sembra voler diventare rapidamente il nostro bestseller assoluto, ecco qualche numero:

  • Kobane Calling è stato stampato in 100.000 copie.
  • La sera prima dell’uscita, nelle aperture serali di quattro librerie Feltrinelli a Milano, Bologna, Roma e Napoli ne sono state vendute circa 1.400 copie.
  • A due settimane dal lancio, circa 68.000 copie della tiratura sono state distribuite, il che significa che se avessimo mantenuto la tiratura del titolo precedente di Zerocalcare (L’elenco telefonico degli accolli, 2015), saremmo già in rottura di stock.
  • Nella prima settimana, le fumetterie ne hanno ordinate 3.000 copie e le librerie generaliste (comprese le online) ne hanno vendute circa 16.000.
  • Nella seconda settimana, l’ordine totale delle fumetterie è arrivato a 4.000 copie, mentre il canale generalista (tra brick and mortar e online) ne ha vendute altre 9.000.
  • A Milano, Kobane Calling è ancora il libro più venduto in assoluto.

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  • Noi continuiamo a essere in tour, e prevediamo che la data di Milano il 10 maggio, la presenza al Salone del libro di Torino il 14 e 15 e la data di Bologna il 17 ci sfiancheranno definitivamente.

Costruire i libri – The medium is the message*

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Costruire un libro non vuole dire solamente assemblare le idee e le parole. Vuol dire dare forma tangibile alle emozioni che contiene.
I libri a fumetti richiedono una consapevolezza maggiore dei materiali e del loro utilizzo rispetto ai testi in prosa. Questo perché è indifferente – ai fini dei concetti – con quale senso si legga un romanzo: su carta o su schermo lo si legge con la vista, negli audiolibri lo si legge con l’udito, in Braille lo si legge con il tatto. Quando la combinazione di parole e immagini è indissolubile per poter fruire di una storia, il coinvolgimento dei sensi dev’essere guidato dalla sapienza tecnica di chi progetta e di chi costruisce. Per questo lavoriamo a così stretto contatto con i tipografi e perfino con le cartiere. La vista ha bisogno di essere appagata dalla giusta brillantezza dei colori, quindi si sceglie la carta in base all’assorbenza (degli inchiostri) e all’assorbanza (della luce). Gli inchiostri possono essere vegetali oppure ossidativi, e il modo in cui si rapprendono sulla carta è differente, va preso in considerazione.
Lo spessore della carta può essere influenzato meramente dal suo peso in grammi al metro quadro, o essere inferiore a ciò che il tatto percepisce se la carta ha una “mano” (espressa in centimetri cubi su grammi) superiore a 1. Per esempio: perché usiamo carte spessorate per le nostre edizioni di Dylan Dog? Per restituire la sensazione tipica di un albo Bonelli: qualcosa che pesa tra le mani meno di quanto l’occhio aveva immaginato.
La finitura delle copertine (plastificate o con vernice di macchina? Carte speciali, come l’Imitlin? Riserva UV lucida su superficie opaca? Inchiostri fluorescenti in aggiunta alla quadricromia?), la scelta se cartonare o brossurare un’edizione, per tacere del formato fisico (sempre influenzato dallo spessore previsto per il corpo libro) sono fattori che influenzano in ultima analisi il successo di un libro. Qui ci studiamo quasi due anni per ciascun libro che creiamo da zero, e anche quando importiamo un libro dall’estero ne studiamo la natura attentamente.
Perché una persona saggia mi ha detto una volta che la carta bianca vale quel che costa, mentre la carta stampata non vale più niente. E da quel giorno ho deciso che qui in BAO gli avremmo dimostrato di poter aumentare il valore della carta, imbrattandola, o che per lo meno la avremmo imbrattata con stile. E quando un libro restituisce le giuste sensazioni nelle mani di un potenziale lettore (e acquirente), quel libro funziona, ha una chance di diventare un successo. Le belle storie se lo meritano.

*Mille scuse a Marshall McLuhan per avergli rubato il titolo.

Have books, will travel

La domanda che più mi snerva, quando mi arriva per messaggio da qualche amico, è: “Cosa dovrai fare, oggi?” perché implica che il riassunto sia possibile e, soprattutto, riassumibile in pochi caratteri. Quindi ho deciso di raccontarvi un po’ del mio lavoro, delle caratteristiche (e storture) del lavoro di un editore. Nella fattispecie, oggi vi racconto come è stata la mia giornata giovedì scorso, l’8 ottobre. Non vi aspettate chissà che, eh! Le mie giornate sono più o meno noiose, ma costellate di cose da incastrare tra loro in armonia.
La sveglia è, come sempre, alle 6:30 del mattino.
La colazione, alla scrivania, leggendo le strip quotidiane che seguo e facendomi un’idea di quante ore mi prenderà, nella giornata, la reazione alle mail arrivate dalla sera prima.
Quando cominciano ad arrivare i membri della squadra, prendo la borsa e vado alla Stazione Centrale.
Una rapida occhiata all’esposizione di fumetti della Feltrinelli della stazione mi conferma la sensazione che ci stiamo ritagliando parecchio spazio, nelle librerie generaliste, ultimamente.
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Feltrinelli Stazione Centrale, Milano, mezzanino.

Feltrinelli Stazione Centrale, Milano, mezzanino.

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La vetrina sul mezzanino.

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Credo di passare ormai più tempo sul Frecciarossa tra Milano e Roma che a casa mia. Per fortuna sono perfettamente attrezzato per tre ore di lavoro filato, cosa che si rende necessaria oggi più che mai perché, oltre alle mail cui rispondere, ci sono diversi libri da rileggere prima di mandarli in stampa.
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L’autunno è denso di uscite, e certi volumi dobbiamo averli in tempo per la fiera di Lucca.
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Anche all’arrivo, non ho il tempo per passare dagli amici di Verticomics, con i quali pure dovrei parlare di lavoro, e corro in albergo mangiando un panino al volo.
Inizio la rilettura della seconda bozza della giornata, poi mi cambio e vado in libreria in metropolitana.
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C’è già un sacco di gente, e quando arriva Zerocalcare ha con sé Toni Bruno, il che è un bene, perché la settimana prossima devo portare circa il 30% del suo prossimo libro con me a Francoforte e ho bisogno di parlare con lui di alcuni dettagli.
Iniziano le dediche, e il pubblico sbuffa per i tempi di attesa.
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Il pubblico alla Feltrinelli sull’Appia Nuova si è messo in fila già dalle 14:00.

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Arrivano due troupe televisive, per appuntamenti concordati con l’ufficio stampa. Io ho annotato i nomi di tutte le persone che hanno il permesso di fare interviste e riprese, così da poter gentilmente rifiutare eventuali richieste dell’ultimo momento.
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La troupe del TG2 venuta a intervistare Zerocalcare per “Achab libri”

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Alle sei e mezza, per una trentina di minuti, facciamo la parte parlata dell’incontro, poi ricominciano le dediche.
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Il tutto finisce verso mezzanotte, e l’indomani alle nove avrò un altro treno da sfruttare per lavorare più che posso, prima di arrivare in ufficio.
Ecco, questa è una mia giornata tipo quando c’è di mezzo una presentazione.
Prossimamente vi racconto una trasferta internazionale e poi, se non vi avrò del tutto stremati di noia, una “normale” giornata in redazione.

Cosa succede quando le fumetterie si riuniscono a parlare

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Tre case editrici di fumetto e oltre trenta fumetterie si sono date appuntamento per la seconda volta. È accaduto domenica 10 maggio a Milano, per l’edizione 2015 di BITUBÌ, l’incontro organizzato da BAO Publishing, saldaPress e Kleiner Flug per discutere i problemi del mercato, pianificare soluzioni e immaginare un futuro più agevole per tutti.
L’entusiasmo che contraddistinse la prima edizione si è moltiplicato, come testimoniano le trenta fumetterie – giunte anche da Puglia, Lazio, Sardegna e Toscana – intervenute domenica 10 maggio. Un dato che, tra l’altro, sottolinea l’importanza culturale cruciale rappresentata dalle fumetterie stesse: un patrimonio prezioso per l’editoria a fumetti in particolare e, in questo momento storico, per tutta l’editoria in generale.
Il tema della giornata – che ha coinvolto per oltre sei ore tutti i protagonisti in appassionate discussioni – è stato soprattutto uno: come rendere più fluido il meccanismo che dalla creazione e confezione delle storie, porta i libri ai lettori, i destinatari di quelle stesse storie. Come testimoniano gli esempi di The Walking Dead e Zerocalcare, il fumetto ha un pubblico di lettori forti e si sta finalmente imponendo come forma narrativa degna quanto le altre di attirare l’attenzione dell’establishment culturale e dei lettori onnivori. Servono dunque forme di collaborazione che, agevolando il lavoro delle fumetterie, rendano più agile ed efficiente la filiera distributiva e commerciale, che – come sottolineato dai partecipanti – presenta spesso difficoltà e ritardi destinati a ostacolare il lavoro dei punti vendita, danneggiando la diffusione dei libri a fumetti e coloro che li acquistano. BITUBÌ, sull’onda della passione, della competenza e della leggerezza, ha provato a individuare alcune risposte e a immaginare soluzioni che ancora non esistono. Soluzioni che prevedono anche la creazioni di micro e macro-eventi che si concretizzeranno nei prossimi mesi, grazie al lavoro delle tre case editrici coinvolte e delle fumetterie che hanno animato BITUBÌ. E che animeranno l’edizione 2016 dell’iniziativa.
Con l’augurio, e quasi la certezza, che i partecipanti saranno ancora di più.

Il nome delle cose – Piccola nomenclatura per una fruizione consapevole del libro

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A volte ho la sensazione che ci sia un po’ di confusione, tra i lettori, sulle finiture dei libri, sulle diverse tipologie di edizione.
Allora, a uso e consumo dei lettori esigenti, e senza alcuna pretesa di completezza, ecco un rapido glossario per orientarvi.

Un fumetto può essere stampato in rotativa o in piano. Sia che la stampa avvenga con la bobina della rotativa, o i fogli di vari formati delle macchine in piano, in seguito le segnature vengono piegate e diventano sedicesimi (se il foglio o sezione di carta viene piegato fino a ottenere sedici facciate) o in trentaduesimi (se viene piegato fino a ottenere trentadue facciate).

Un fumetto può essere spillato, quando viene rilegato a punto metallico (spesso le graffette sono applicate con il fascicolo aperto verso il basso, la tecnica si chiama in questo caso in sella), brossurato, quando i sedicesimi (o trentaduesimi) vengono affiancati, incollati tra loro e poi alla copertina, che ha abitualmente il dorso (se lo chiamate costoletta è perché avete fame) squadrato. Se oltre alla colla le segnature sono vincolate tra di loro con un filo si chiama brossura a filo refe, se c’è solo la colla questa viene applicata in seguito a una fresatura delle segnature accostate, per assicurare una maggior penetrazione del collante e la brossura si chiama in questo caso fresata. Da fuori è molto difficile distinguerle, ma se aprendo il volume non vedete alcun filo, è fresata. Costa meno, ovviamente.

Se al corpo libro brossurato viene applicata una copertina rigida, l’edizione si dice cartonata. Il dorso può essere quadro o tondo. Se alla plancia della copertina viene applicato un cartone molto sottile e flessibile (quello di una buona cartonatura è spesso 2,5 millimetri, per dire), l’edizione si dice cartonato olandese. È ottima per opere di frequente consultazione, come enciclopedie tascabili. O Bone.

Quasi mai la copertina è stampata senza ulteriore applicazione di protezione. Se la finitura è molto grezza, probabilmente c’è solo l’applicazione di una vernice trasparente. Se è molto lucida, la carta è plastificata lucida. Se è satinata, è plastificata opaca. Se ci sono sezioni lucide su una superficie satinata, c’è la verniciatura serigrafica UV, “con riserva” ovvero su un’area delimitata ben precisa. L’applicazione della vernice UV avviene attraverso le maglie di un filtro speciale. Allargandole, o dando successivi passaggi sulla stessa area, è possibile ottenere motivi trasparenti in rilievo, l’UV spessorato.

I fumetti sono spesso stampati o su carte uso mano (quelle più ruvide e porose) o su carte patinate, che possono essere lucide oppure opache. La grammatura della carta indica il peso di un metro quadro di quella carta. La mano della carta, ovvero il Volume Specifico Apparente della carta, espresso in spessore in micron diviso grammatura, indica lo spessore della carta rispetto al suo peso. Una carta con una mano superiore a 1 è detta spessorata. Serve a fare libri più spessi senza aumentarne eccessivamente il peso.
Le carte hanno diverse pigmentazioni, ma per generalizzare si può dire che le più usate sono bianche oppure avoriate.
La stampa avviene in offset, con macchine in quadricromia, ovvero che stampano successivamente ciano, magenta, giallo e poi nero. L’asciugatura dell’inchiostro avviene tramite un’unità termica (un forno, in pratica) e successivamente all’aria, oppure nelle macchine a tecnologia HUV tramite led a luce pulsata ultravioletta e successivamente all’aria.
Se la copertina è foderata da un ulteriore strato di carta, esso è detto sovraccoperta. Se la sezione superiore e inferiore delle pagine mostrano una striscia di tessuto colorato (che serve a proteggere la rilegatura nei cartonati), quelli sono i capitelli. Se il lavoro è fatto bene, sotto al tessuto ci sono uno o due strati di garza, ma potreste non saperlo mai. Il foglio di carta incollato al corpo del libro e alla copertina di un cartonato è detto risguardo, o sguardia.

Mi fermo prima di farmi prendere dall’entusiasmo e spiegarvi quando il colophon ha smesso di essere un tamburino, ma sono certo che parecchi amici mi aiuteranno ad arricchire questo post nei prossimi giorni.

Costruire un libro

Lui non lo sa, ma diventerà Bone.

Lui non lo sa, ma diventerà Bone.

Costruire un libro significa attribuirgli un’identità.
A voi, da lettori, parrà che il grosso del lavoro lo facciano gli autori, e in larga parte avete ragione. Eppure se la “buccia” del libro non viene pensata accuratamente, c’è il rischio che anche un capolavoro passi inosservato.
Da un mesetto sto lavorando al progetto dell’edizione a colori dell’integrale di Bone, di Jeff Smith. Bone è uscito originariamente in bianco e nero in cinquantacinque albi da una ventina di pagine di storia ciascuno, tra il 1991 e il 2004. Poi è stato raccolto in un solo volume e parallelamente Scholastic, un grosso editore americano per l’infanzia, lo ha proposto a colori, in nove volumi, che poi l’autore ha raccolto in un integrale a colori. In America si vende a centocinquanta dollari a copia, e la sfida per BAO è di fare un prodotto dal prezzo molto più popolare, senza compromettere la qualità.
Per prima cosa abbiamo chiesto preventivi a tre diversi fornitori. Dopo averne scelto uno, abbiamo chiesto uno specimen, ovvero un campione bianco del libro, per saggiarne le caratteristiche. È arrivato ieri ed esaminandolo abbiamo tratto alcune conclusioni: vogliamo un cartone più spesso per la copertina e che il dorso sia quadro, non tondo.
Ora abbiamo altre problematiche da affrontare: l’edizione americana ha un astuccio protettivo, e la copertina non ha loghi né titoli. È palesemente un oggetto per collezionisti, mentre la nostra versione dovrà recare in grande il logo di Bone – il che ci costringe a ripensare il layout grafico originale – e allo stesso tempo non dovrà somigliare troppo alla copertina della nostra edizione in bianco e nero.
Mentre i grafici si occupano di questa problematica, decidiamo il prezzo giusto per questa edizione. Come spesso abbiamo fatto con libri “importanti” e impegnativi, preferiamo allontanare un poco il punto di pareggio per imporre un prezzo attraente per il pubblico, perché fare del libro un oggetto di desiderio non irraggiungibile è per noi più importante che andare rapidamente in profitto. Allo stesso tempo, il prezzo non deve essere troppo simile a quello dell’edizione in bianco e nero, per non sabotarla, dato che è uno dei nostri best seller assoluti e uno dei titoli che intendiamo tenere in catalogo per sempre.
Intanto attendiamo i file a colori, che verranno impaginati sotto al lettering dell’edizione in bianco e nero, stando attenti alle pagine che Jeff ha modificato apposta per l’edizione Scholastic. Questo ci darà la scusa per fare tre nuovi giri di rilettura (ogni nuovo libro BAO viene riletto cinque volte, a ogni ristampa altre due) e assicurarci che i testi siano assolutamente perfetti.
Il nuovo impaginato verrà poi suddiviso in nove parti e adattato per le edizioni Kindle ed epub (il formato della maggior parte degli altri vendor di titoli digitali), andando così a colmare una lacuna del nostro catalogo online.
Entro maggio, accompagnato da promozionali per le librerie e fumetterie che ricorderanno a negozianti e lettori l’esistenza di tutta una serie di titoli legati all’universo di Bone (alcuni appena ristampati per l’occasione, per assicurarci che tutto sia sempre disponibile), questo balenottero di tre chili e 1350 pagine sarà nei negozi e sono relativamente sicuro che il suo successo ci sorprenderà come è successo la prima volta.
E tutto il pensiero, tutta la cautela e il rispetto che saranno stati profusi nelle azioni che servono a vestire di colore il libro bianco che vedete nella foto avranno avuto un senso.
[Ripetere ottanta volte all’anno e otterrete il nostro lavoro. Dosi per dodici persone.]

Reinvestire in qualità vuol dire crederci veramente

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Stabilire il prezzo giusto per un libro è una questione delicata. È fondamentale che esso sia il massimo prezzo che si ritiene che l’acquirente troverebbe ragionevole per il libro che ci si appresta a pubblicare. Meno sarebbe irresponsabile nei confronti dell’intera filiera commerciale, che dovrebbe perdere introiti, di più significherebbe condannare il libro a restare invenduto.
Lo scopo dell’interazione tra l’oggetto-libro, il suo contenuto e il prezzo di vendita è catturare attenzione, suscitare interesse, provocare desiderio e indurre all’azione, ovvero all’acquisto, secondo il modello di marketing AIDA.
Un editore di fumetti ha tre grossi capitoli di spesa, quando si appresta a produrre un volume: l’anticipo sui diritti d’autore, il costo dei materiali di riproduzione (i file di stampa) e la fattura del tipografo.
In un mercato più grande e florido di quello italiano attuale il costo dei file inciderebbe meno, ma va tenuto presente che molte delle edizioni che trovate in fumetteria hanno tirature tra le mille e le duemila copie, il che significa che se per avere i file di un libro l’editore ha pagato mille euro, questa cifra può incidere da cinquanta centesimi a un euro per ciascuna copia stampata. (Al momento, visto che ve lo starete domandando, nessuna tiratura BAO è inferiore a duemila copie.)

Quando BAO ha iniziato la propria attività avevamo già ben chiaro in testa il prezzo che ritenevamo giusto per i nostri libri, anche se all’inizio siamo stati percepiti come un editore “caro”. Cinque anni dopo, prima di etichettarci in questo modo i lettori hanno imparato ad aspettare di aver toccato fisicamente le nostre edizioni, perché spesso il rapporto qualità-prezzo dei nostri volumi si è rivelato molto vantaggioso.
Fin da subito, abbiamo deciso di stampare parte delle nostre edizioni in Cina, per l’indubbio vantaggio economico che questa possibilità comportava, a fronte delle piccole tirature che sapevamo che il mercato del fumetto poteva assorbire.
Piano piano, però, sono successe diverse cose.
Il mercato ha cominciato a crescere, e ci siamo resi conto per esempio che dalle quattromila copie in su potevamo scegliere di stampare certi cartonati in Italia, perché i costi di avviamento incidevano meno sul costo per copia dei volumi.
L’euro ha recuperato valore sul dollaro, il che è una buona notizia per la nostra economia, ma significa anche che i servizi di stampa in oriente, spesso pagati in dollari da chi media tra gli editori e gli stampatori, convengono meno.
Potevamo semplicemente ritoccare lievemente i prezzi di certi nostri titoli, dato che la differenza tra una produzione cinese e una italiana si sta facendo sempre più esigua, ma visto che le tirature stanno aumentando, abbiamo deciso di reinvestire l’aumentata marginalità su quei titoli per stamparli tutti in Italia, e per di più su carta certificata FSC.
Così abbiamo stipulato un accordo con uno dei nostri principali partner tipografici, Aquattro di Chivasso, che già stampa le nostre più alte tirature, ovvero i libri di Zerocalcare. Nel 2015 Aquattro stamperà più di quaranta titoli BAO, tra cui tutte le serie americane, che saranno stampate su carta certificata FSC. Aquattro poi aderisce a un programma di compensazione dell’anidride carbonica emessa nelle fasi di prestampa, ed è quindi una delle tipografie con la carbon footprint più leggera d’Italia.
Questo per noi è un effetto virtuoso e tangibile dell’economia di scala: potevamo goderci un po’ di soldi in più grazie al fatto che siete più di prima, a leggere i nostri titoli, ma abbiamo deciso di reinvestire quel surplus in qualità, per fare i libri ancora meglio. È una scommessa, perché contiamo sul fatto che titoli di altissima qualità realizzati a regola d’arte vi convinceranno a sostenerci ancora e ancora, ma è una scommessa che possiamo fare perché ci siete, perché credete anche voi nel nostro progetto, quindi volevamo ringraziarvi fin d’ora, non perché siamo certi di vincerla, ma perché siamo felici e orgogliosi di poterci provare.