Fumetterie USA – Los Angeles

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Cominciamo con il mini-tour delle fumetterie dell’Ovest americano che avevo preannunciato nel post precedente. Si parte da Los Angeles, una megalopoli che di fumetterie ne ha tantissime, ma sparse su un’area così vasta che è difficile che si rivolgano tutte alla stessa utenza.
A Shop Called Quest ha aperto la sua prima location californiana quasi venticinque anni fa, la seconda circa cinque, e la terza undici mesi fa. È proprio in questo negozio – situato a downtown Los Angeles, in un complesso destinato a diventare una sorta di centro commerciale, ma per ora popolato più che altro da locali dove mangiare o bere un caffè – che siamo entrati oggi, martedì 19 luglio, nelle prime ore del pomeriggio. Sapevamo di dover chiedere di Ray, il direttore del negozio, che ci ha raccontato di lavorare per A Shop Called Quest da circa otto anni.

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Ci ha parlato della sua clientela, molto diversificata ed eterogenea, e del fatto che sente che il punto di forza del negozio è il servizio alla clientela. “Buona fortuna a quelli che pensano che per scoprire nuovi fumetti bastino le recensioni e le librerie online” dice Ray. “Qui è dove il gusto del cliente incontra la sensibilità di chi vende, e se facciamo bene il nostro lavoro chi ci scopre per caso tornerà.”

Gli ho chiesto quale sia la cosa che migliorerebbe, se potesse, del suo lavoro. “Nonostante il fatto che ormai abbiamo tre negozi, fatichiamo ancora a negoziare con il distributore. Non so quanti punti vendita si debbano avere per poter parlare di extra sconto o di maggiore attenzione verso di noi, ma spero che in futuro le cose cambino.”
Gli ho poi chiesto se il suo pubblico sia composto più da clienti regolari o da gente del luogo che entra incuriosita dalla bella vetrina e dagli arredi in legno naturale del negozio.
“Il mercoledì è il giorno delle uscite dei fumetti nuovi, e noi cerchiamo di avere sempre qualche artista locale, anche non famosissimo, che disegni in negozio. Grazie all’accordo con uno dei locali della zona, se compri almeno due titoli quel giorno hai lo sconto sulla birra. I clienti regolari vengono quasi tutti il mercoledì, il che crea un bel capannello di persone motivate e allegre che, vuoi per i fumetti, vuoi per la birra, si soffermano a lungo in negozio, quel giorno. Questo aiuta a trasmettere una sensazione di energia positiva che attira anche i passanti. Quindi il mercoledì diventa un momento piuttosto interessante, per gli affari, ed è un’ottima cosa avere una giornata così a metà della settimana, in attesa delle vendite del weekend.”

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La cosa interessante del negozio gestito da Ray è la commistione di prodotto commerciale, arretrati, romanzi grafici anche di editori molto piccoli e gadgettistica che va dagli immancabili Funko a pin smaltati legati al mondo delle fanzine più alternative. “Più volte l’anno ospitiamo una sorta di mini convention di fanzine. Questo attira tutta una fetta di pubblico che magari inizialmente è interessata solo a quel genere di pubblicazioni, ma che comincia a prenderci come punto di riferimento per quando ha desiderio di fumetti. Questa è la cosa più importante: diventare un posto che la gente ha voglia di visitare quando passa da queste parti. Crescendo a LA anche io andavo sempre da Meltdown Comics, o da Golden Apple. Il nostro scopo è sempre stato diventare un tempio dei fumetti per antonomasia come lo sono stati in passato quei negozi. Poco a poco, credo che ci stiamo riuscendo.”
La sensazione generale è che, in un’area con una concorrenza sistematica e agguerrita, il modo migliore per affermarsi in questo campo sia quello di personalizzare fortissimamente il servizio.

Il prossimo post, ovviamente, sarà dal Comic-Con di San Diego.

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Foreign Rights – Parte 1 – Alla fine della fiera

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A fine marzo di quest’anno, alla periferia di Madison, nello stato americano del Wisconsin, qualcuno spegnerà la luce del capannone della fabbrica Oscar Mayer e, per la prima volta in novantotto anni, nessuno la riaccenderà il mattino seguente. Il marchio storico dell’hot dog americano, che un tempo era il datore di lavoro più importante della città, con oltre quattromila dipendenti che lavoravano alla trasformazione di novecento maiali all’ora, è una delle vittime della ristrutturazione aziendale voluta dai nuovi proprietari della conglomerata Kraft Heinz, che possiede lo stabilimento. Tra le cose che ancora si producevano a Madison c’era il Liver Cheese, un affettato fatto comprimendo insieme parti di maiale, bacon, cipolle, e cucinando il tutto a forma di filone di pane. Poche persone sotto gli ottant’anni d’età ne sentiranno la mancanza.
Se fai per un secolo, bene, la stessa identica cosa, non è detto che il mercato ti sostenga per sempre.
Se poi il tuo prodotto sono le emozioni, le storie, le trame, per un’azienda diventa fondamentale rinnovarsi per restare pertinente al discorso sociale del mercato di cui è parte. Una Casa editrice è tra le entità che meno si possono permettere di cristallizzarsi e sedersi sugli allori e uno dei modi più semplici per tenere il proprio catalogo in contatto costante con le tendenze editoriali di tutto il mondo è quello di importare titoli dall’estero.
L’importazione delle licenze internazionali è una di quelle cose che il luogo comune vuole che si facciano da dietro una scrivania, come nella macchietta del finanziere che sbraita in numerose cornette telefoniche “Vendere!” o “Comprare!”, rivolto ai suoi scherani, in collegamento dalla borsa valori. Invece è un lavoro che richiede viaggi, contatto umano, chiarezza di idee e una discreta abilità con le lingue straniere. Io me ne occupo, per un’azienda o per l’altra, da quattordici anni. Neanche due settimane fa ero al festival di Angoulême, uno dei più grandi d’Europa, e l’unico con un padiglione dedicato unicamente agli incontri professionali tra editori.
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Vi sono piccoli stand, presi in affitto dalle Case editrici – non solo francesi – che hanno molti titoli da vendere all’estero. Gli appuntamenti-tipo durano mezz’ora e sono tenuti dagli agenti dell’ufficio diritti stranieri, per le aziende più strutturate, o dai titolari stessi, nel caso degli editori più piccoli. La danza dei convenevoli, della presentazione delle novità, dei PDF o dei campioni di libri da richiedere, è collaudata e si ripete più volte l’anno: gli editori che vedo a gennaio in Francia li rivedrò ad aprile a Bologna, in certi casi a luglio a San Diego, sicuramente a ottobre a Francoforte. Quando mi presentano le loro novità mi rassicura quando saltano quelle che sanno non andare bene per BAO, perché vuol dire che ho davanti qualcuno che ci tiene a veder andare bene i titoli che mi vende, e non a vendermi qualcosa a ogni costo. Se prima di una fiera ho già deciso di fare un’offerta per una licenza, spesso attendo la fiera per comunicarlo all’editore, perché so che gli agenti hanno degli obiettivi di fatturato, a ognuno di questi eventi, e che ricevono dei premi se raggiungono quegli obiettivi. Quindi se compro un titolo con un’offerta per e-mail a novembre non aiuto la persona che avrò davanti a gennaio ad avere il premio a fine fiera. Se non si tratta di una licenza oggetto di asta, o che temo possa essere contesa tra più editori, aspetto l’evento successivo come cortesia professionale verso chi deve fare la vendita.
La scelta dei titoli da importare è una faccenda complessa. Per restare nell’esempio francese, ci sono due cose che noi di BAO tendiamo a evitare sistematicamente: i classici della tradizione francese e i progetti che ci sembrano troppo studiati a tavolino.
Il primo caso va spiegato: il mercato francese del fumetto nelle librerie generaliste nel 2016 è valso 370 milioni di euro di vendite. Vi ricordo un dato di qualche post fa: in Italia ne vale dodici, al momento. Però il cartonato più venduto del 2016 è stato il nuovo episodio apocrifo di Blake & Mortimer, una serie creata da Edgar Jacobs nel 1946. Il volume ha venduto 280.100 copie in un mese, perché è uscito il 25 novembre. Il secondo in classifica è il nuovo episodio (sempre apocrifo) di Lucky Luke, che in due mesi (dal 4 novembre) ha venduto 271.000 copie (dati Gfk). È come se in Italia Tex uscisse una sola volta l’anno, in libreria. E non esiste un altro mercato al mondo nel quale Tex venda come in Italia. Quindi nell’enorme calderone del mercato del fumetto francese bisogna fare la tara dei grandi classici, ma anche dei fenomeni molto specifici: L’arabo del futuro, bella serie di volumi della stella del fumetto di realtà contemporaneo, Riad Sattouf, tra i suoi tre volumi nel solo 2016 ha venduto 370.000 copie. Il motivo è legato, oltre allo straordinario talento di Riad, anche alla pertinenza tematica in un paese che è molto più un melting pot culturale di quanto non lo sia l’Italia di oggi.
Quelli che definisco progetti studiati a tavolino sono invece i titoli, o le collane, che sembrano voler cavalcare una moda tematica. Ricordo che all’inizio della crisi economica del 2009 sono proliferate le serie sui segreti delle banche. Stranamente, per quanto dal punto di vista italiano si tenda a considerare il mercato francofono piuttosto colto, e quello americano più commerciale, nella mia esperienza il tentativo di sfruttare i temi caldi è sempre più palese e sistematico in Francia che negli USA.
Insomma, da ogni fiera l’editore a caccia di licenze torna a casa con un bel numero di proposte, campioni, manoscritti da leggere. La bussola con la quale orientarsi impone una prima scrematura in base alla qualità (perché non tutto quello che viene messo sul mercato è di altissima qualità, va detto) e poi, nella fase in cui si identificano i titoli per i quali si è disposti a fare un’offerta, bilanciando tra loro i titoli che possono diventare identitari per il proprio catalogo (ogni tanto noi ci diciamo cose come: “Non so se venderà, ma è davvero tanto BAO”), quelli che sono attesi dal proprio pubblico (perché di un autore già noto, o perché se ne è parlato molto in rete, per esempio) e una piccola parte di sperimentazione (i titoli che appartengono a generi o modi narrativi inusuali, per i quali non ci sono precedenti in Casa editrice e pubblicando i quali si rischia l’insuccesso.*)
Il processo di acquisizione consiste nello spedire al licensor (l’editore o agente che vende la licenza) una proposta in cui si specifica il progetto per l’edizione italiana, indicando la tiratura che si prevede di fare, il tipo di edizione fisica (soprattutto nel caso in cui non sia identica all’originale), il prezzo di vendita al pubblico e la percentuale di royalties offerta. Poi si offre l’anticipo, detto MG (Minimum Guarantee) che è una cifra che corrisponde alle royalties su un certo numero di copie vendute. Se quel libro vende meno delle copie coperte dall’anticipo, il licensor si tiene comunque l’anticipo (per questo è detto “minimo garantito”). Se ne vende di più, una volta l’anno l’editore italiano (il licensee) deve dire quante ne ha vendute, e pagare la differenza.
Facciamo un esempio pratico. Voglio pubblicare in Italia un libro che mi è stato proposto. Ne voglio stampare duemila copie, venderle a 15 euro l’una, e offro l’8% di royalties. Quindi devo offrire un anticipo che corrisponde a
(2000 x 15) x 8% = 2400 euro
Ma se offro questa cifra avrò pagato le royalties sul totale della tiratura prevista. Quindi anche sulle eventuali copie regalate alla stampa, su quelle fallate, su quelle che potrebbero restare invendute. Così propongo al licensor: posso darti un anticipo pari al 60% della tiratura? In questo modo se ne vendo di più, quando l’anno dopo ti faccio il rapporto sulle vendite, ti do la differenza.
Quindi propongo di pagare:
2400 x 60% = 1440 euro
Ai quali se il licensor accetterà verrà aggiunto il costo dei file per la stampa.
Dopo un anno, diciamo che mi è andata benino e ho venduto 1.815 copie. Devo dare al mio licensor le royalties in più:
[(1815 x 15) x 8%] – 1440 = 738 euro
Piccolo interludio: quando ci comunicano che un licensor ha scelto noi per un titolo cui tenevamo, ma per il quale sapevo che c’era concorrenza, gioisco come se avessi vinto al Superenalotto. Se fate un fermo immagine di me che comunico ai miei collaboratori con aria furbesca la conquista come in uno spot del whisky degli anni Ottanta, potete riflettere su quali strane cose mi diano gioia: in quell’istante sto alzando le mani al cielo perché mi è appena stato accordato il diritto di pagare l’anticipo, pagare i file per la stampa, pagare il personale per tradurre e impaginare, pagare la stampa e poi sperare che qualcuno vada a comprare quel libro.
Ma io gioisco perché se ho fatto l’offerta in quel libro ci credo, e come Ray Kinsella nel suo campo da baseball scavato nel mais dell’Iowa sento le voci e penso che “La gente verrà, la gente verrà eccome.”
Fin qui i freddi numeri, ma non lasciate che vi distraggano: il sottoscritto che salta sulla sedia è molto più importante.
Sì, perché il conto della serva lo sa fare chiunque, ma poi dare a un libro una onesta chance di avere successo e visibilità non è da tutti. Quando un licensor dice di sì a una proposta BAO, sa diverse cose: che tradurremo e stamperemo il libro con cura; che abbiamo una distribuzione capillare e in costante crescita; che il nostro ufficio stampa è efficace e dinamico; che quando invitiamo in Italia gli autori stranieri li trattiamo con i guanti bianchi. Dopo sette anni, queste cose le sanno anche se non abbiamo mai lavorato con loro in precedenza. Un’altra cosa che sanno è che tre-quattro volte l’anno possono guardare negli occhi Caterina e me e chiederci seriamente: “Come vanno le cose?” e che la risposta sarà convincente. Dopo sette anni, se chiediamo di fare una raccolta integrale di una serie, o di cambiare il formato di un libro, o di commissionare una nuova copertina, le legittime resistenze che all’inizio ci venivano opposte a questo tipo di esigenza ora sono state sostituite quasi sempre da un’unica risposta: “Siete voi a sapere cosa funziona sul vostro mercato.”
Ecco perché la chiarezza nell’esporre il proprio progetto, e l’onestà nell’ammettere i propri limiti, dubbi e difficoltà, sono importanti nelle transazioni internazionali quanto la puntualità nel saldare le fatture.
Magari un’altra volta vi parlerò della prima volta che abbiamo parlato di affari con Jeff Smith, e credevamo che il tassista ci stesse portando alla trattoria preferita di Manuel Vázquez Montalbán, e invece ci ha portati al cimitero monumentale di Barcellona. Oppure di quando ho mangiato un enorme gelato a mezzanotte con Gary Groth della Fantagraphics, e in conseguenza di quella scorpacciata abbiamo iniziato a pubblicare Daniel Clowes. Questo è un lavoro fatto di persone, di contatti, di affinità e di fiducia. Ci sono persone con le quali passo più tempo a parlare di famiglia o di politica che di fumetti, anche se ci conosciamo proprio perché hanno qualcosa da vendermi. Questa è la parte che viene dal bagaglio umano di ciascuno, e raccontarla è aneddotica fine a se stessa, non serve a insegnare nulla. Però è anche la parte che rende tollerabili quei lunghi corridoi asettici ricoperti di moquette che separano le file di stand, sempre uguali e sempre nelle stesse posizioni relative, come orbitali di elettroni, fiera dopo fiera, anno dopo anno. Le persone che ti parlano di loro e ti chiedono di te prima di proporti le ultime novità, e che dopo la fiera ti scrivono la consueta mail di follow up ricordandoti le cose che vi siete detti, ricordandoti che non sei solo un cliente, quelle sono le cose che ti fanno continuare a fare questo mestiere.
Per anni questa relazione è stata per noi a senso unico: andavamo alle fiere e compravamo. Poi abbiamo cominciato a vendere, e questo sarà l’oggetto della seconda parte di questo post, tra un mese esatto.
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* Il lavoro dell’editore è uno dei pochi, tra quelli che conosco io, che fa degli insuccessi una ricchezza. L’importante non è non pubblicare libri che il pubblico ignora, ma farlo in modo da capire, a posteriori, perché il pubblico li ha ignorati. Spesso un fiasco si rivela una lezione che porta a migliorare molto il proprio modo di lavorare.

Un mercoledì di ordinaria editoria

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Qualche anno fa mi è stata detta una cosa molto bella, a proposito del lavoro che faccio: che quando si parla di BAO come Casa editrice l’enfasi è su “Casa”. In effetti, quando Caterina e io abbiamo fondato l’azienda, sette anni fa, l’intenzione era quella di creare un posto dove noi per primi avessimo voglia di venire ogni mattina, e che permettesse ai nostri collaboratori di lavorare serenamente. Sapevamo che in editoria la velocità e il dinamismo sono mali necessari e che se non avessimo iniziato il nostro progetto con la possibilità di una coesistenza serena in redazione, all’aumentare del carico di lavoro saremmo stati spacciati.
Molto tempo fa, su questo blog, avevo promesso di raccontare prima o poi una tipica giornata di lavoro, e molto spesso la mia preferita è quella di mercoledì, perché è quella in cui si fanno le riunioni di redazione.
Pronti? Benvenuti nella mia routine.

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Apro l’ufficio alle 8:30. Siamo soli io e il bonsai Oda Nobunaga. Faccio colazione, scarico la posta, preparo il file con gli ordini dello Shop Online da evadere nella giornata. Oggi ce n’è solo uno, ma ci sono giorni in cui sono anche dieci. A confezionarli ci pensano i membri della redazione, a seconda dei loro impegni. Di solito le operazioni legate allo Shop vengono completate entro mezzogiorno.
Alle 9:30 comincia ad arrivare la squadra, e impostiamo i lavori della giornata:

Alle 10:30 con Lorenzo, il capo grafico, e Gigi Cavenago andiamo alla Bonelli per parlare con Marina Sanfelice delle modifiche al lettering di Mater Dolorosa necessarie per l’edizione BAO di quella storia.

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La redazione di Via Buonarroti è ad appena quattro fermate di metropolitana dalla nostra sede, e dopo aver assistito all’inizio dei lavori, necessari per ottimizzare le splendide tavole di Gigi al formato nel quale stamperemo il volume (e per i quali Marina si è generosamente offerta di aiutarci) mi faccio offrire due caffè in rapida successione: il primo da Alfredo Castelli e il secondo da Vincenzo Sarno. In mezz’ora discuto di cose di lavoro che avrebbero richiesto almeno cinque giorni di e-mail e me ne torno soddisfatto alla BAO.

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A mezzogiorno arriva maicol (di maicol & mirco) perché dobbiamo fare una diretta per parlare del suo nuovo libro, Il papà di Dio, e lo intervisto in sala riunioni, a beneficio dei fan della nostra pagina Facebook.
Poco dopo lo stesso tavolo vede riunirsi la squadra per la pausa pranzo, e un’ora più tardi serve per la settimanale riunione di programmazione.

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In mesi intensi come questo preparare l’ordine del giorno della riunione del mercoledì mi prende anche due giorni di appunti. La riunione è divisa per dipartimenti: Amministrazione (per parlare di contratti, pagamenti, budget, forecast correttivi del budget, royalties per gli autori e i licensor); Commerciale (per parlare di fumetterie, librerie, tempi di consegna e di lancio dei volumi in arrivo dalle tipografie, fiere, andamento delle vendite, creazione dei copertinari per la promozione libraria e del Preview per le fumetterie); Stampa ed eventi (per parlare di inviti a ospiti italiani e stranieri, tempistiche di uscita dei libri per programmare i comunicati stampa e gli invii ai giornalisti, presenze fieristiche, tour di presentazioni) e Produzione (per parlare di impianti in arrivo dall’estero, consegne dagli autori italiani, avanzamento dei lavori di impaginazione e lettering, calendario delle riletture della redazione in vista dell’invio di libri lavorati alle tipografie). Le nostre riunioni durano dalla mezz’ora ai tre quarti d’ora, durante i quali di solito Ninja, la Beagle, sonnecchia sul divano e io imposto innumerevoli messaggi di posta inserendo solo il destinatario per ricordarmi, in seguito, a chi devo scrivere per procurare a qualcuno della squadra l’informazione o i materiali che mi ha chiesto.
A volte sottoponiamo alla redazione le diverse bozze della copertina di un libro in produzione, per discuterne tutti insieme. Il fatto che il responsabile commerciale e l’ufficio stampa partecipino a queste discussioni è fondamentale per il marketing operativo dei singoli titoli.

Alle 17:30 mi presento alla Feltrinelli di Piazza del Duomo. Manca un’ora alla presentazione del libro di maicol & mirco e io ho promesso che dedicheremo per tutto l’anno l’ora precedente agli eventi cui presenzieremo a un question time a tema libero con lettori e aspiranti autori. Essendo la prima volta me la posso prendere comoda: pochissime persone hanno voglia di parlare con me, e ben presto posso cedere il palco all’autore e al giornalista Andrea Coccia, che lo intervista davanti alla sala piena di lettori. Seguono le dediche, che terminano giusto in tempo per l’ora di cena.

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Torno in redazione verso le ventidue, a scaricare per l’ultima volta la posta e a spegnere e chiudere tutto.

Quando mi rendo conto, facendoli, che i miei gesti sono sempre gli stessi, giorno dopo giorno, da oltre sette anni, mi stupisco. Molto più di quando mi capita di ripensare a cosa pensavamo quando il nostro fatturato era un ventesimo di quello di adesso, quando eravamo in quattro a fare tutto il lavoro, quando il mondo delle librerie pareva non volerci proprio dare spazio o ascolto. Ogni giorno apro queste finestre prima che arrivino tutti. Ogni giorno accendiamo queste macchine, con le quali trasformiamo le idee in libri. Ogni giorno parliamo con gli autori, e con decine di persone in tutto il mondo che ci danno gli strumenti – la fiducia è il primo e il più importante – per portare storie sotto forma di libri sugli scaffali di centinaia di negozi in tutta Italia. Ogni giorno faccio il caffè a chiunque ne beva, e glielo porto, o lo bevo insieme a loro, come scusa per non parlare solo delle cose che dobbiamo fare, o anche solo per alzarmi dalla scrivania e riflettere.
Ogni tanto qualcuno sui nostri social legge che un certo libro uscirà, pour parler, a marzo, e commenta, spesso a ragione: “Ma non doveva uscire a febbraio?” come se stessimo parlando del regionale delle 16:47 da Albairate. Eppure l’uscita di quel libro presuppone che esattamente dieci giorni prima esso sia arrivato al magazzino di Messaggerie Libri, che almeno quindici-venti prima di quella consegna sia iniziata la stampa, che avviene dopo almeno un mese di lavorazione redazionale, che inizia solo dopo che la traduzione è stata consegnata; ma la traduzione non può iniziare se il contratto di licenza non è stato firmato, se l’anticipo e il costo dei materiali non sono stati pagati, e d’altra parte queste cose non succedono se prima non abbiamo deciso di voler pubblicare quel libro e convinto chi ne detiene i diritti che siamo la Casa editrice più adatta per farlo. E per voler esprimere questa volontà il libro lo dobbiamo scoprire, a una fiera del settore o in rete, e ci deve colpire, piacere e convincere a tal punto da decidere che potrebbe diventare uno dei circa settanta che pubblichiamo ogni anno. E tutto questo presuppone che ciascuno di noi entro le 9:30 sia in questa redazione, a dire, scrivere, spedire, rileggere, correggere milioni di parole che devono diventare solo tre: Visto Si Stampi, e dopo averle pronunciate bisogna sperare che niente di troppo grave vada a rilento. Come il regionale da Albairate, a volte arriviamo in ritardo. Diversamente da quel treno, spesso quel ritardo significa che ci siamo presi la briga di garantirvi che il libro che aspettavate fosse veramente perfetto. Quando ho scelto la giornata da raccontare in questo post non sapevo esattamente cosa sarebbe successo in quelle ore, e per fortuna si è rivelata una giornata intensa e interessante, in cui nulla è andato storto, ma ve lo assicuro, se anche fosse stata un disastro, ve l’avrei raccontata lo stesso. Perché il fatto che la maggior parte dei giorni tutto va liscio è il motivo per cui la nostra squadra è apprezzata, ma è per come salvano le giornate che minacciano di diventare tragiche che sono fiero di loro.

Sono le 22:50 e sto per salvare questo post e spegnere le luci della redazione. Domattina si ricomincia. E la settimana prossima, qui, torniamo a parlare di storie.

Catch me if I fall – Un buon editor guarda i funamboli dal basso

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Due pagine di storyboard di Asaf Hanuka per il secondo capitolo del libro che sta realizzando con Roberto Saviano, di cui sono l’editor. (Dialoghi provvisori)

In una raccolta del 1944, il poeta William Carlos Williams ha scritto la frase per la quale è forse più famoso: No ideas but in things; non vi sono idee se non nelle cose. Era vero della sua poesia, non è detto che valga per tutto e per tutti, ma i fumettisti lo sentono visceralmente, infatti i loro racconti sono dei costrutti, degli oggetti concettuali, che contengono idee che si articolano in storie.

Costruire una storia, per certi versi, non è diverso dal costruire una sedia: si può imparare osservando altri falegnami al lavoro, smontando le sedie che si hanno in casa, e poi provando e riprovando a costruirne di proprie. Le prime non saranno stabili o solide, ma è possibile imparare a costruire sedie degnissime, non solo funzionali, ma persino belle e non solo belle, ma addirittura capaci di ispirare le sedie di altri falegnami, senza aver mai preso una lezione specifica per imparare il mestiere.
Non tutte le sedie sono comode. Molte di quelle che sono degne di essere esposte nei musei non lo sono, ma sono lì perché hanno contribuito in qualche modo originale e fondamentale a far progredire il Grande Discorso Culturale Fondamentale sulle Sedie.
Ecco, certi falegnami hanno moltissimo talento, ma si esprimerebbero anche meglio se avessero un editor: uno che si è seduto su tantissime sedie, sa come renderle più comode e più solide, sa quali sono più richieste, ma non per questo disdegna le virtù di certe sedie per le quali c’è poco mercato, ma che hanno caratteristiche particolari, che le sedie comuni non possiedono.

Come per le sedie, l’editing delle storie a fumetti va fatto al novanta percento prima di cominciare a costruire, perché se poi la storia viene sbilenca e ha le giunture fragili, hai voglia a rimediare a cose fatte (ovvero a tavole disegnate).
Quindi quando un autore manda il soggetto di una storia, l’editing ha inizio. Ecco come succede nella nostra redazione e ovviamente questo non è il solo metodo, non è neanche il solo metodo che usiamo noi, e questo post non vuole darvi a intendere in alcun modo che dovreste fare così. È solo come funziona da noi e per noi.

Il soggetto viene messo alla prova facendo domande all’autore sugli aspetti che ha sviscerato di meno, e gli chiediamo di espandere il testo quanto basta perché tutti gli snodi narrativi e le evoluzioni emotive siano descritte in modo da farci capire come procede la storia, dalla premessa al suo finale. In pratica, quando nessuna frase di un soggetto ci fa venire voglia di chiedere “Perché?” il soggetto è approvato.

A questo punto le cose si fanno particolarmente delicate. La regola più importante della nostra redazione, per quanto riguarda i progetti originali che seguiamo dall’idea alla stampa, è di interferire il meno possibile con la creatività dell’autore (o degli autori), garantendogli però un’attenzione al suo lavoro che ci consenta di avvertirlo se sta facendo qualcosa che ci sembra distonico rispetto alla sua intenzione originale. Noi non chiediamo mai all’autore di darci una sceneggiatura completa (e in sette anni credo che la sola persona che abbia insistito per mandarcela – e intendo per posta, stampata e rilegata, in due corposi fascicoli – sia stato Alessio Spataro, per la lavorazione di Biliardino), ma abbiamo bisogno di una versione espansa del soggetto, un trattamento, se volete, per conoscere passo per passo le sequenze che l’autore intende inserire nella storia. Questo ci consente, quando ci farà vedere un gruppo di tavole consecutive, di dire cose tipo: “Ehi, qui hai cambiato soluzione, rispetto al trattamento!” Al che di solito ci sentiamo rispondere: “Sì, trovo che così funzioni molto meglio” oppure “Oh, caspita, hai ragione, Sagace Editor! Devo rifare queste tre pagine!” In entrambi i casi, la nostra opera di tutela delle sue intenzioni sarà stata efficace.
A volte sono necessari interventi minori, aggiustamenti di meccanica narrativa, che a raccontarli potrebbero far venire il dubbio che certi autori siano veramente distratti. La verità è molto diversa, e non ha a che vedere con l’abilità, il talento o il mestiere.
Alcuni autori creano affreschi così complessi che la lunghezza delle loro stesse braccia impedisce loro di lavorare a una distanza (metaforica) sufficiente dall’opera da consentire loro di vedere tutta la storia a colpo d’occhio. Per questo hanno bisogno di qualcuno che stia qualche passo più indietro, a far notare loro quando qualcosa ha proporzioni strane, o starebbe meglio in un’altra posizione.
Spesso questi interventi avvengono a livello di storyboard, quando cioè l’autore sta studiando il ritmo, sviluppando i blocchi narrativi della storia e negoziando gli spazi sulle singole tavole. In quella fase è più facile, per l’editor, sollevare dubbi o indicare punti che potrebbero essere risolti in modo più efficace. Nella mia esperienza, è anche la fase nella quale spesso l’autore è più disposto ad ascoltare, perché quando sta realizzando l’intero storyboard di un libro è l’autore per primo a mettersi in dubbio, ed è spesso contento di avere un riscontro dall’editor, che in fondo è una forma specializzata di lettore precoce.
Io ho suggerito una pagina a Zerocalcare, circa un anno fa, di una banalità disarmante, ma che gli ha risolto un problema: per creare il senso del passaggio del tempo dopo una scena in Kobane Calling in cui il suo personaggio deve spegnere il cellulare e sta per esserci un flash forward, gli ho suggerito di aggiungere una pagina di stacco nera, con al centro l’icona della batteria in ricarica tipica dei telefoni portatili. Narrativamente non ho alterato in nulla ciò che voleva dire, ma gli ho dato un’idea per trasmettere meglio il senso dello stacco temporale tra due scene. Lavorando ai due blocchi narrativi nello stesso periodo, non gli era venuta in mente questa cosa, assolutamente alla sua portata, ma che aveva bisogno di uno sguardo a mente fredda per essere messa a parole.
Quasi mai ci è successo di chiedere correzioni o modifiche sui disegni finiti di un libro. In altre Case editrici succede regolarmente, ma noi interveniamo solo se proprio un autore non si è accorto di una palese svista, e va detto che in sette anni ci è successo sicuramente meno di cinque volte.

Un romanziere scrive nella solitudine del proprio studio, indisturbato, in balia delle idee e dell’ispirazione, di intenzioni non alterate da alcuna influenza esterna. Poi consegna il manoscritto ed è possibile che il suo editor lo trasformi in qualcosa di completamente diverso (avete mai letto la prosa di Carver prima che ci mettesse le mani Gordon Lish?).
Viceversa, uno sceneggiatore cinematografico scrive tutto un film, che poi viene modificato più volte da più mani, e poi in fase di riprese emergono istanze che portano a ulteriori modifiche e insomma, dal momento in cui la sceneggiatura è terminata la lotta per proteggerne l’integrità dell’idea finisce solo in sala di montaggio.
Il Fumetto è a metà: non subisce tutte le interferenze dall’esterno di un film, ma non sempre nasce nel totale solipsismo della scrittura in prosa. Cioè, può, ovviamente; all’inizio abbiamo parlato di falegnami indipendenti e autodidatti bravissimi, ma a volte a un falegname viene voglia di andare da una fabbrica di sedie di cui stima i prodotti e dire: “Voglio fare una sedia per voi. La vorrei fare così e così. La volete? Mi guardate mentre la faccio, così mi aiutate a farla bella come le vostre altre sedie, ma mia, proprio mia, che si veda in ogni dettaglio che è mia?

A volte gli autori sono contenti dei suggerimenti, delle critiche, dell’editing. Altre volte si arroccano sulle loro posizioni e temono che cambiare quel singolo dettaglio comprometterà l’integrità della loro opera. A volte hanno ragione, e l’editor cede. Altre volte hanno torto, si affezionano più all’abbozzo iniziale della loro opera di quanto sarebbe utile per restare obiettivi sulla sua efficacia, e in questi casi a volte vince l’editor, a volte no, perché un autore scontento è una cosa molto più grave di un libro imperfetto, ma onesto e pieno di cuore.

Ecco, il lavoro dell’editor richiede molta diplomazia, altrettanta psicologia, la capacità di mettersi in dubbio e di far mettere in dubbio l’autore, devozione alla storia e soprattutto al suo cuore emotivo, che è la cosa che solo il Fumetto tra tutti i media narrativi è capace, quando è fatto bene, di esprimere con trasparenza assoluta. Il lavoro dell’editor richiede anche la capacità di ammettere che non si è adatti a fare l’editing di un certo libro, per mancanza di affinità umana con l’autore, o con i temi, o con lo stile narrativo.
Noi in BAO, per esempio, ieri abbiamo fatto una riunione proprio per ripartirci l’editing dei titoli originali previsti per il 2018. E non è bastato fare la lista e assegnare ogni libro a qualcuno: su un paio di titoli ancora ci stiamo interrogando, e vogliamo assicurarci che abbiano la persona giusta a proteggerli, a perfezionarli, a farli esprimere al meglio.
Quando riusciamo a far capire ai nostri autori che abbiamo a cuore la stessa cosa, che sappiamo che ogni libro fa storia a sé e che non abbiamo nessuna intenzione di farli con lo stampino, che siamo lì per loro, ma che non vogliamo fare nulla al posto loro, allora abbiamo vinto. E quando questa sintonia tra chi racconta la storia e chi ne agevola la trasformazione in un libro stampato è forte, i libri escono più belli.
Quando ad aprile dell’anno scorso alcuni colleghi hanno preso in mano davanti a me Da quassù la terra è bellissima di Toni Bruno, che è il suo quarto libro, ma rappresenta un balzo qualitativo immenso rispetto ai suoi lavori precedenti, mi hanno chiesto, in modo molto diretto, con ammirazione e curiosità: “Che cosa gli hai fatto?”
Io ho fatto spallucce e ho detto la verità, che è vera ancora adesso, nove mesi e seimila copie dopo: “L’ho fatto lavorare sereno.”
La magia l’ha fatta Toni. Io ero solo qualche metro sotto, pronto a prenderlo se fosse caduto. E, forse proprio perché sapeva che io ero lì, lui non è caduto.

Su questo tema ci torneremo, tra un paio di mesi, con un post di esempi pratici su libri veri.

Perché il 99% dei curricula che mandate non serve a nulla

Forse non vi servirà mai una cravatta, lavorando nel Fumetto, ma questo nodo è un Reverse Four in hand. Non si sa mai.

Forse non vi servirà mai una cravatta, lavorando nel Fumetto, ma questo nodo è un Reverse Four in hand. Non si sa mai.

Essenzialmente perché non vi sapete presentare.
Quando scrivete a un’azienda, soprattutto a una che stimate, per la quale lavorereste volentieri, dovete dare per scontato che quando la vostra candidatura arriverà nel loro inbox, non avranno bisogno di voi. Perché un’azienda non funziona, senza una figura chiave per la propria operatività. Certo, potreste sperare che il vostro CV arrivi proprio nel momento in cui si sta creando l’opportunità di lavoro perfetta per voi, ma in questo caso state sperando di vincere alla lotteria, e non è un atteggiamento proattivo o vincente. Insomma, non è un atteggiamento che fa colpo positivamente su un potenziale datore di lavoro.
Però le Case editrici hanno spesso esigenze impreviste di nuovi collaboratori o fornitori. Allora come giocarsela bene?
Se siete traduttori, il vostro curriculum accademico non basta, e la lista dei titoli su cui avete lavorato men che meno. Indicate uno o due lavori di cui siete particolarmente fieri, invitando il destinatario della vostra mail a leggerli. Un titolo più commerciale e uno più intimista e linguisticamente complesso sarebbero perfetti. Non è detto che gli editori andranno davvero a leggere ciò che indicate loro, ma molto probabilmente filtrerà il messaggio che non solo avete lavorato molto, ma ci sono anche cose delle quali siete realmente fieri.
(I CV dei traduttori sono quelli più spesso realmente conservati da chi li riceve per potenziali futuri incarichi.)

Se siete editor, il discorso è più complesso, perché è davvero difficile che una Casa editrice manchi di redattori, ma è anche possibile che sia disposta ad affidare a un esterno la supervisione, perfino l’editing in fase di realizzazione, di un volume. Se questo è ciò che vorreste fare, e l’avete già fatto in qualche occasione, fatevi scrivere delle lettere di raccomandazione dagli autori con cui avete lavorato. Poche righe in cui un autore edito dice “Pinco Pallino è stato molto prezioso nella realizzazione del mio libro Storie della Supercazzola, al quale ha contribuito in questo e quel modo” fanno sicuramente più colpo della mail che tutti ricevono in continuazione e che dice soltanto che vorreste lavorare in redazione.
(Se avete letto “lettere di raccomandazione” e avete capito che trova lavoro solo chi è “raccomandato”, ho una notizia per voi: non siete in grado di fare gli editor.)

Mi spingo ancora più in là? Perfino un tipografo, invece che mandare soltanto una brochure istituzionale della propria azienda, potrebbe arrischiarsi a mandare un preventivo dicendo: “Mi sono permesso di farvi un preventivo-tipo per il vostro libro Storie della Supercazzola, ipotizzando tirature di duemila, tremila e cinquemila copie. Sono sicuro che lo troverete competitivo. In allegato, la brochure che vi spiega perché lo stamperemmo bene.” Ci credete che NESSUNO ha mai fatto così, con noi? Sarebbe il solo modo per essere presi in considerazione, visto che, come immaginerete, non è che non sappiamo dove andare a stampare i libri.

Quello che sto cercando di dirvi, quando vi proponete a una Casa editrice, è che dovete spiccare tra tanti altri aspiranti. La concorrenza è tanta, ma la cosa positiva è che non pare particolarmente agguerrita: se scrivete bene la lettera di presentazione e non ci fate ridere con l’ultima voce del CV (che vi piace la pesca con la mosca non ci interessa. Che secondo voi sia importante che lo sappiamo invece ci preoccupa), avrete quasi sicuramente una risposta e, molto probabilmente, la nostra attenzione.
In bocca al lupo a tutti, soprattutto a quelli che davano già per scontate le cose che ho appena scritto. Al momento non vi stiamo cercando, ma un giorno avremo bisogno proprio di persone come voi.

Una parola buona per tutti

 

Pace, eh.

Pace, eh.



Il torpore dell’estate non è ancora finito, vetrine e aziende non hanno ancora riaperto in massa, ma forse è ora di darci tutti una svegliata, per il bene della cosa chiamata Fumetto, che sarebbe il caso di proteggere e incentivare meglio. Basterebbe poco. Io qualche idea ce l’avrei.

Editori! La prossima volta che una grossa fiera, di quelle dove si danno dei premi, comunica al mondo la selezione dei finalisti, perché non facciamo tutti un comunicato stampa comune, per far capire al Quarto Potere che si tratta di una cosa seria? Sì, è vero, spesso quella selezione dei finalisti viene fatta con criteri soggettivi, ma è quella la lista che conta. È editorialmente significativa, ci sono sempre dentro tutti i player importanti e qualche outsider degno di nota. Se diventasse una notizia mediaticamente rilevante, sarebbe più facile far capire a buyer, distributori, reti promozionali che quella trentina di titoli deve essere in tutti i punti vendita, in quel periodo.

Fiere! Rendetevi conto che il vostro servizio non termina quando si aprono i cancelli il primo giorno. Oltre al fatto che dovete fare tutte uno sforzo logistico in più per non costringere i vostri visitatori (=clienti. Quelli che hanno sempre ragione) a lunghissime attese o chiusure inopinate dei cancelli durante il giorno, non potete smettere di aggiornare il vostro sito e i social media durante i giorni dei vostri eventi. Perché nessuno aggiorna in tempo reale con i vincitori dei premi? Forse perché in realtà essi non contano davvero nulla? Possiamo cambiare questa cosa, da subito, dando al tema la giusta attenzione.

Distributori! Di tanto in tanto perfino su Gaza non cadono missili. Per trenta giorni riuscite a evadere ogni ordine che ricevete, e non solo quelli per le novità? Ci state facendo fare la figura degli idioti. Un commento a un mio recente post diceva “evidentemente la BAO vive fuori dalla realtà, se non sa cosa fanno i suoi distributori”. La realtà è che nessun editore lo sa veramente, perché voi fate quello che vi pare, o quello che vi riesce date le carenze organizzative. Se i nostri sconti (=soldi) vi fanno comodo per la vendita delle novità, credo che in un mese solo scoprireste quanto riordine vi state perdendo.

Librai generalisti! Io giro i vostri scaffali, e spesso i fumetti li avete, ma disposti a cazzo di cane. Vi assicuro che se esponeste diversamente la merce che già avete, vendereste di più. Vi interessa un po’ di tutorial da qui per migliorare le cose? È poca cosa, ma sarebbe un inizio. Voi non siete abituati ai long seller legati al collezionismo che sono tipici dell’editoria a fumetti. Avete bisogno che qualcuno vi contestualizzi meglio quel mercato, se non volete perdere vendite.

Fumetterie! Io ci provo, a difendervi, ma da una certa parte del pubblico non siete amate. Forse perché, come molti editori tradizionali, vi curate solo i clienti che già ci sono, sperando di tenerveli tutti (ma è una pia illusione) e non trovate il modo di attirarne degli altri. Per noi editori è vitale che ci siate, perché abbiamo bisogno di luoghi dove la nostra qualità si possa sfogliare e toccare. Ma qualcosa deve cambiare. Dovete offrire qualcosa che i grandi operatori commerciali non hanno. E in parte deve essere qualcosa che vi diamo noi editori. Siete disposti ad ascoltare i nostri suggerimenti, o in fondo vi va bene così? Perché noi abbiamo un sacco di idee, il cui unico difetto è che non possiamo venire lì a metterle in pratica al posto vostro.

Lettori! Voi avete il coltello dalla parte del manico, e ogni diritto di far valere il vostro peso. Ma non fatelo solo decidendo a chi dare i vostri soldi. Se volete che le cose migliorino (in termini di servizio, offerta, qualità, praticità di ottenimento dei libri) dovete parlare. Farlo sapere ai librai, alle fumetterie. Se la vostra sola bussola nell’orientarvi agli acquisti è il prezzo, be’, sappiate che il prezzo è quello stampato dietro ai libri. Nessuno è tenuto a farvi lo sconto. In certi paesi lo stanno vietando con ferrea determinazione. Se un libraio riesce a convincervi ad andare da lui, vi lascia sfogliare e valutare un libro, e poi voi lo salutate e andate a comprarlo online, la colpa non è di Amazon, è del libraio, che non ha saputo darvi motivi per dare a lui i vostri soldi. Fategli capire perché.

Io non credo al cinismo. Siamo qui per passione, amiamo parlare di ciò che facciamo e farci consigliare dagli amici. Andiamo fieri delle nostre collezioni e ci stupiamo quando un libro si dimostra particolarmente bello matericamente e narrativamente. Il mercato sta crescendo, ma gli editori tradizionali vendono sempre meno, infatti per proteggere il fatturato devono pubblicare sempre più titoli. Io ho la fortuna di lavorare in una casa editrice in crescita, in controtendenza con l’andamento generale dell’economia, e tutto ciò che chiedo in più è che non sia mai difficile reperire i nostri libri. Potrei dire a tutti di comprare dalle librerie online o dal nostro shop, sempre e comunque, senza darmi troppa pena, ma i giorni della BAO Boutique e certi momenti alle fiere mi hanno insegnato che non c’è una gioia più grande, per uno che di mestiere fa cose fragili e impermanenti come i libri, di vedere il sorriso di chi tocca i frutti del mio mestiere. E il lettore che ha potuto valutare serenamente la qualità di ciò che facciamo torna di certo. Non sono certo che sia vero anche per chi si deve sempre fidare di acquisti a scatola chiusa.

Fatelo per soldi, se dovete, ma fatelo. Vi stiamo dando armi efficaci, credibilità con i media (erano decenni che il TG1 delle venti non aveva un fumetto nei titoli di apertura, sapete?) e il prodotto migliore che si sia mai visto da tanto, tanto tempo. E non parlo solo del prodotto BAO.
Questo paese ha la capacità innata di uccidere qualunque entusiasmo. Siamo bravi a resistere, a sopravvivere, ma abbiamo perso il gusto di costruire. Be’, il mio entusiasmo non è una quantità finita, è alimentato dagli autori, dai collaboratori, dai lettori, dalle storie. Le cose stanno già migliorando, basta smettere di opporre resistenza e unirsi allo sforzo.

Peace.

Perché è importante ordinare i fumetti in fumetteria

La fumetteria Secret Headquarters di Los Angeles.

La fumetteria Secret Headquarters di Los Angeles.

Magari siete di quelli che i fumetti li ordinano solo online. Oppure li avete scoperti in libreria, e credete che tutto il Fumetto che esiste al mondo si trovi nello stesso posto dove comprate i romanzi in prosa.
Ma forse ormai avete la scimmia dei fumetti e dovete andare a fondo della faccenda. Vi serve un professionista. Uno che mastica comics, bande déssinée, historietas, quadrinhos a colazione, pranzo e cena. Vi serve un uomo con una fumetteria ben fornita.
Alla prima visita vi sembrerà di essere nel paese dei balocchi, ma se tornerete a studiare quegli scaffali più volte, man mano che la vostra consapevolezza di ciò che viene pubblicato aumenta, vi renderete conto che molte delle cose che dovrebbero essere esposte non ci sono.
Dove sono? Ammesso che ci siano, sono nel retrobottega.
Le fumetterie sono costrette a smaltire tutto ciò che ordinano. Diversamente da edicolanti e librai generalisti, non possono rendere gli invenduti. Pertanto, ogni mese, quando ordinano le novità, si basano su ciò che i clienti, consultando i cataloghi dei distributori, hanno già prenotato. La crisi economica e la concorrenza di altri operatori commerciali ha fatto sì che ormai, fatti salvi i prodotti più popolari, le fumetterie di molti titoli ordinano solo le copie che qualche cliente ha già prenotato.
Quindi, chi passa per la prima volta in una fumetteria, anche grossa, anche fornita e con una buona clientela, rischia di non vedere sugli scaffali una selezione rappresentativa delle novità del periodo, che si trovano invece nelle “caselle” dei clienti abituali, i cosiddetti “abbonati”.

Io sono fortemente convinto che il modello economico basato sugli ordini dai cataloghi da parte dei singoli clienti sia superato. Soprattutto il catalogo del distributore come strumento di informazione ha fatto il suo tempo, è un anacronismo, non me ne vogliano le persone che passano il mese a confezionarlo (conto almeno un Amico con la A maiuscola tra quelle persone. Ciao, Max). Con BAO abbiamo imparato a fare informazione in modo più diretto e incisivo, ma il punto è che gli stimoli che diamo al pubblico devono arrivare al bancone della fumetteria. Per un motivo molto semplice: nessun libraio deciderà di ordinare improvvisamente più fumetti perché visitato dallo Spirito Santo e il business delle fumetterie non crescerà mai se non si supera la pavidità di questo periodo, che è pienamente giustificata, ma deve finire presto, prima che il sistema si spezzi del tutto. Storicamente, si esce dai periodi di recessione economica solo facendo investimenti. Noi editori gli investimenti li stiamo facendo. A voi i nostri libri interessano. In mezzo, tra noi e voi, ci sono una struttura distributiva e le fumetterie. Mi farebbe piacere che ci aiutaste a far capire anche a questi signori che ciò che produciamo vi interessa. Si genererebbe un movimento virtuoso che renderebbe molto più fluido ed efficiente il sistema sul quale questo mercato si regge.
Lo so, è un sistema perverso e malato, non è compito vostro assicurarvi che i commercianti abbiano una vasta selezione di articoli da vendere, ma di questi tempi rischiare è difficile, per alcuni improponibile, per cui se non trovate in fumetteria tutto ciò che vorreste è anche colpa vostra, perché non avete fatto capire in modo inequivocabile a chi la gestisce che lo volete.

Questo mese, dei titoli che avevate già intenzione di comprare altrove, ne andate a prendere/prenotare uno in fumetteria, per favore? Badate, vi sto chiedendo di andare a procurarvi un prodotto non necessariamente edito dalla mia azienda in un punto vendita che costa all’editore tra il 50 e il 55% di sconto sul prezzo di copertina di un fumetto. Potrei chiedervi con la stessa enfasi di comprare un fumetto BAO dal nostro shop online, dove il nostro margine sul prezzo di copertina è circa l’80%. Ma a me interessa che il mercato si muova, poi vinca il migliore.
Conosco persone che, anche di questi tempi, sono fiere di avere in tasca una tessera di partito.
Io vorrei che voi aveste quella della vostra fumetteria di fiducia, e che ne foste altrettanto fieri.

Vendere frigoriferi in Siberia (è più facile che vendere fumetti alle librerie).

Io i libri li so immaginare, so dirvi che dimensione dovrebbero avere e che sensazione è meglio che diano al tatto. Li so costruire senza tradire ciò che ho visto io nella mia testa, ciò che hanno letto i miei editor sulla pagina e ciò che hanno visto sul monitor i miei grafici. Ma li so vendere solo se vi guardo negli occhi e vi faccio venire la febbre che ho dal primo giorno in cui ho deciso di farli. Per vendere il maggior numero di libri al maggior numero di librai, in BAO c’è un professionista. È un tipo che si situa da qualche parte nell’intersezione di Eddie “lo svelto” Felson de Lo spaccone, il Tenente Colombo, Mr. Wolf di Pulp Fiction e il Pagliaccio Baraldi di Fabio De Luigi. Ma questo solo, essenzialmente, perché si chiama Lorenzo Baraldi. Qui da noi è il Direttore Generale, ma anche il Responsabile Commerciale.

Baraldi

Lorenzo, ci descrivi cosa succede dal punto di vista commerciale a un libro dal momento in cui gli vengono attribuiti un titolo, un prezzo e un codice ISBN al momento in cui arriva sugli scaffali delle librerie?

Quando il libro viene “inserito” nell’anagrafica di Messaggerie Libri (il nostro distributore per le librerie) diventa, di fatto, visibile al mondo. I librai possono già emettere degli ordini spontaneamente, ancora prima che un agente vada a proporre loro l’acquisto di una o più copie e le librerie on line possono cominciare a raccogliere i preorder dai lettori. Poi arriva il momento in cui viene presentato alla rete vendita e inizia la raccolta degli ordini in tutti i negozi serviti da Messaggerie. Per ciascun cliente c’è una trattativa che si conclude, spesso, ma non sempre, con la “prenotazione” di un tot di copie del titolo. Normalmente, dopo circa due mesi, il libro è stato stampato e viene lanciato sul mercato, contemporaneamente, in tutte le librerie (i nostri libri escono sempre il giovedì, in libreria e il venerdì successivo in fumetteria).

Quali sono gli strumenti per stimolare una libreria o una catena di librerie a comprare un titolo, o a comprarne più copie?

In questo momento storico, anche se è banale dirlo, tutti i commercianti sono un po’ in crisi. Lo sono le persone che lavorano, che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese e che quindi non spendono, nemmeno per comprare i libri e, di conseguenza, anche le librerie fanno fatica a fare nuovi acquisti. Per questo, spesso, ci si trova di fronte a negozi che scelgono addirittura quali titoli comprare e quali no. Diciamo che la “presenza” come si dice in gergo, cioè almeno una copia di ogni titolo nei negozi, è l’unico modo per far sì che questo sia visibile “fisicamente”. Per convincere un libraio ad avere più copie nel suo negozio si possono offrire alcuni punti di sconto in più o dilazionare il pagamento di 30-60 giorni oltre la norma. In questo modo, il libraio che sa di avere almeno tre mesi per vendere un prodotto prima di doverlo pagare, acquista più serenamente. Ma queste concessioni devono essere sempre legate a un risultato, anche perché l’editore, per contratto con il distributore, incassa 60 giorni dopo che il libraio ha pagato.
Per fare un esempio pratico, se si concede oggi un pagamento di 90 gg sull’acquisto di 10 copie dell’ultimo Zerocalcare (prezzo 13 euro), con un sovrasconto di 3 punti percentuali succede questo:

3 luglio – ordine
31 ottobre – scadenza pagamento al libraio
31 dicembre – incasso da parte di BAO.
E BAO incassa il “netto”, cioè il totale del prezzo di copertina (130 euro) meno lo sconto concesso al libraio (mediamente 30-35% + il sovrasconto di 3 punti), meno la provvigione all’agente che ha mediato l’ordine, meno quella che va pagata al distributore per tutti i servizi relativi a questa consegna.
Se va bene, all’editore rimane circa il 40% del valore, quindi, in questo caso circa 50 euro ed essendo all’inizio del mese (il pagamento parte sempre da fine mese) questi soldi arrivano circa 6 mesi dopo…

Un altro strumento da utilizzare è il materiale promozionale che l’editore prepara per la presentazione dei propri libri quando ancora questi non esistono fisicamente, cioè il cosiddetto “copertinario” che noi in BAO si chiama Gazzetta di Cliff. Il nostro staff grafico-editoriale prepara cinque volte all’anno una rivista in cui si può vedere “su carta” la copertina (spesso definitiva) e dove vengono illustrate in poche parole le caratteristiche di ogni libro e gli “argomenti di vendita”. Questo folder è il biglietto da visita con cui il venditore si presenta al libraio e, quando è possibile, si accompagna la presentazione con una copia della versione originale del libro (se è una traduzione), con estratti e/o preview del libro finale. Oltre alle fredde condizioni commerciali, condividere la passione e l’interesse per ogni titolo, per la sua trama, per la bravura dell’illustratore con chi deve fare un acquisto è l’arma vincente per fare arrivare almeno una copia nei negozi. Quando è possibile leggere in anteprima un titolo o quando si promuove un nuovo libro di un autore già pubblicato, è ancora meglio. Personalmente, leggo tutti i titoli BAO e questo mi permette, mi ripeto, di condividere la passione con il mio interlocutore, raccontargli una trama con entusiasmo, fargli notare il tratto del disegno, l’uso dei colori (vedrete che bellezza il prossimo libro di Nicolò Pellizzon). Nel nostro mestiere, per come l’ho fatto io in quasi 25 anni, è fondamentale unire il vantaggio commerciale con la qualità dei libri di cui si tratta… ma ne parleremo ancora tra poco.

In questa azione, quali sono i principali ostacoli che incontra un commerciale, o un agente?

Come ho già detto, il momento storico è difficile, quindi un libraio tende a non comprare. A questo si aggiunge la resistenza di molti interlocutori verso l’oggetto graphic novel o fumetto in generale (vedi tuoi post precedenti) perché considerato un genere troppo di nicchia. Inoltre, nonostante le librerie abbiano il diritto di reso su tutte le pubblicazioni distribuite da Messaggerie, molti librai non se la sentono di rischiare con prodotti di cui non hanno la certezza di una vendita, al di là delle difficoltà finanziarie. Infine, le major hanno uno strapotere che spesso riesce ad imporre ai librai elevate quantità di copie, con conseguente occupazione di grandi spazi, sottraendone agli editori “minori”. Solo i librai più lungimiranti, interessati a sperimentare e alla qualità investono su terreni meno conosciuti. In questo caso il lavoro è più facile, ma richiede una preparazione più approfondita, anche se gratifica di più. È il caso dei nostri libri e lo dico senza problemi di modestia, visto che non sono io a “crearli”, ma ho solo la fortuna di poterli vendere.

Senza rispondermi “vendere molte copie”, che cosa può fare un editore per rendere appetibile un libro a chi poi lo deve vendere al dettaglio?

Ribadisco che la qualità degli strumenti promozionali è importante, ma anche la competenza di chi “racconta” un libro, che spesso di fatto ancora non esiste, è fondamentale. L’editore deve comunque sempre fare dei libri la cui qualità è al massimo, con cura, cercando sempre di creare nel futuro lettore l’aspettativa di qualcosa di sorprendente, non solo nel contenuto, ma anche nella confezione del prodotto. Meglio le alette nei libri brossurati piuttosto che no, meglio un cartonato di un brossurato, meglio un contenuto inedito che una edizione più semplice. Il tutto cercando di contenere al massimo il prezzo di copertina. Con tutto questo, un libraio è invogliato a comprare anche le cose più “difficili”, quelle meno conosciute e a consigliare ai suoi clienti lettori un libro piuttosto che un altro, con la certezza che questi lettori torneranno da lui a chiedergli altri consigli.
Insomma, parafrasando gli spot più biechi, bisogna badare sempre al rapporto qualità-prezzo.

Qual è stata la missione commerciale più difficile di tutta la tua carriera? E la lezione più importante che hai imparato, in questi anni?

Questo non è un lavoro difficile, se lo ami. Il problema si porrà il giorno in cui mi renderò conto che non mi diverto più… In ogni caso, dopo 25 anni nel campo dell’editoria, forse la cosa più complicata fu all’inizio della mia carriera di agente, quando dovevo vendere i libri di una casa editrice che pubblicava praticamente solo epistolari (tra personaggi famosi, eh) e la mia zona di competenza arrivava fino a oltre 500 km da casa. Inoltre, all’epoca, non esisteva il concetto di orario continuato, per cui se ritardavi 10 minuti e trovavi un negozio chiuso per la pausa pranzo, si doveva aspettare la riapertura pomeridiana. Ma la cosa più ardua è stato completare una campagna promozionale di libri per ragazzi in un pomeriggio, al telefono, chiamando tutti i clienti e convincendoli ad incrementare il loro ordine iniziale. L’obiettivo era di migliorare il lancio di 200 mila euro, pari a quasi il 25% del totale. Fatto.
La lezione che ho imparato in questi anni è che i libri sono vivi, vanno trattati con passione e vanno presentati ai librai, e quindi ai lettori, con il massimo del rispetto, sia per gli interlocutori che per i libri stessi. Per questo è un piacere parlare dei nostri libri e per questo sappiamo sempre concedere il giusto, quando sia i libri che i librai lo meritano. È ciò che rende questo lavoro più facile di quanto sembri. Ma non “troppo” facile: quando qualcuno ti mostra una strada troppo in discesa, è sempre meglio diffidare, regola che vale, in generale, per tutto il commercio.

Fa’ un augurio al mercato del libro in Italia per i prossimi cinque anni.

Il mio augurio al mercato del libro è che aumentino le librerie di qualità, dove trovare personale preparato e dove i lettori possano entrare volentieri ed uscirne soddisfatti (e con uno o più libri nel sacchetto). Sono certo che se i libri, dalla narrativa tradizionale a quella a fumetti, dalla saggistica alla manualistica, vengono considerati come un bene prezioso che arricchisce le persone (e se ci liberiamo per sempre dei i volumi da 90 centesimi rischia di arricchire anche i librai) la strada è segnata. I progetti di molti dei protagonisti del mondo editoriale sembra che vadano proprio in questa direzione, anche se per ora sono quasi sempre e solo belle parole…

E ora da’ un consiglio a chi volesse intraprendere una carriera da commerciale nel mondo dell’editoria.

Fare il commerciale nel mondo dell’editoria non è come negli altri settori. Almeno dal mio punto di vista. Per me significa amare gli oggetti che tocco tutti i giorni, significa leggere i miei libri ed entrarci dentro. Per questo è un successo personale quando un libro vende meglio della media e uno sgarbo all’autore (e all’editore) quando succede il contrario. Forse chi vende auto ragiona allo stesso modo, le guida tutte. O chi vende formaggi li assaggia tutti…. Credo che l’unico consiglio sia quello di credere negli stimoli che questo lavoro può dare, credere che, oltre all’indispensabile fatturato, esiste anche la passione, la curiosità. Credere nelle nuove sfide che si presentano ogni giorno e che, almeno in BAO, sono veramente tante. Se non avete dentro di voi questa predisposizione, lasciate perdere.

I falsi miti dell’editoria digitale

Da anni, nel campo del Fumetto, in Italia si parla di due cose-fantascientifiche-che-sarebbe-tanto-bello-che-fossero-vere-ma-non-succederanno-mai. Una è la possibilità che si crei un vero, sano mercato di opere a fumetti nelle librerie generaliste e l’altra è il mercato dei fumetti digitali.
La prima è già diventata realtà, e in qualche modo BAO ne è corresponsabile. Vi pare tanto probabile che la seconda resti nel regno delle ipotesi a lungo?
Io non sono un purista dell’esperienza tattile della lettura. Credo che il mio amore per i libri fatti bene sia manifesto nelle scelte di produzione e confezione dei volumi di cui sono editore, ma da lettore sono grato a tutto ciò che mi permette di leggere di più, più spesso.
Ben vengano, dunque, i fumetti fruibili su tablet, e-reader e computer.
In altri paesi europei si fa un gran parlare, nella comunità degli autori, della ripartizione degli utili sulle edizioni digitali. Parecchi editori hanno cercato di imporre ai loro autori le stesse percentuali previste sulle edizioni cartacee, che però comportano un rischio di impresa molto più alto. Giustamente, c’è stata una levata di scudi: gli autori desiderano una percentuale più alta dei profitti sui download. È sacrosanto, e BAO da sempre ha un piano di royalties molto equo, per queste cose, ma è importante che si sappia anche che le piattaforme che commercializzano le nostre edizioni digitali si tengono dal 40 al 55% del prezzo di vendita, ma soprattutto che convertire i fumetti in digitale non è affatto un procedimento scontato e a costo zero.

Per farvi capire che cosa comporta, ho fatto qualche domanda ad Andrea Petronio, che oltre a coordinare i titoli americani, in BAO, è il nostro Digital Contents Editor.

Andrea alle prese con il benchmarking dei titoli digitali BAO su diversi dispositivi.

Andrea alle prese con il benchmarking dei titoli digitali BAO su diversi dispositivi.

Andrea, ci descrivi le operazioni che effettui e coordini per trasformare gli impianti di un libro stampato nei file venduti dai vari portali digitali?

Ci sono diverse operazioni e cambiano a seconda dei portali.
Piccola premessa: molte delle cose che descriverò, come ben sai, le ho dovute imparare sul campo e tuttora non mi sento un esperto in materia.
La prima grossa differenza è tra i file per Kindle (in vendita su Amazon, se mai ci fosse bisogno di scriverlo) e quelli per Google Play, iBooks e KOBO.
I file .mobi per Kindle richiedono l’elaborazione registica di un .pdf in alta risoluzione attraverso KC3 (Kindle Comic Creator, programmino gratuito che si può scaricare da Amazon) che permette di creare riquadri di ingrandimento di una o più vignette allo scopo di leggere meglio i balloon nella pagina per dare la miglior esperienza di lettura possibile.
Quando c’era da fare questo tipo di file chiedevo a Lorenzo (il capo grafico) – e ho la fortuna di lavorare nella stessa stanza dei grafici – di estrapolarmi una cartella con i materiali necessari alla conversione dell’impaginato di stampa per il formato digitale.
Il primo libro che abbiamo convertito è stato La Profezia dell’Armadillo di Zerocalcare; dopo aver visto i risultati e dopo aver ricevuto complimenti su questa “kindleizzazione”, abbiamo insegnato a Enrico (il grafico esterno che ora converte la maggior parte dei nostri titoli per Kindle) come usare il programma e di trasmettergli un po’ del mio gusto registico. Il mio lavoro su questi file attualmente si limita alla supervisione del lavoro di Enrico e alla conversione dei testi in prosa, nei quali ogni piccolo errore richiede di dover rifare quasi l’intero libro per evitare di far apparire dei simboli incongrui in corrispondenza di accenti e apostrofi (a chiunque guardi serie in streaming sarà capitato di vedere che non vengono usati accenti o di vedere delle serie in cui proprio le parole accentate appaiono contaminate da glifi incomprensibili… bene, su Kindle il problema è lo stesso e va affrontato per bene perché, a differenza dello streaming, il lettore ha pagato e vuole un prodotto di qualità.)
Per gli altri portali i file che devo preparare sono dei “semplici” ePub… che ti assicuro che tutto sono tranne semplici. Su InDesign c’è un pulsante che ti fa credere di poter convertire in ePub il tuo impianto di stampa semplicemente con un clic del mouse… e invece non è così! Il risultato di quel CLIC è un insieme non omogeneo di immagini e di testo e ogni volta che chiedevo ai vari interlocutori (Google, KOBO, iBooks, forum vari) come poter aggirare questo problema mi sentivo dire che dovevo rivolgermi a siti che svolgono questo servizio a pagamento.
Qui – metto le mani avanti io – non sono sicuro che in qualche modo non si possa convertire senza problemi direttamente da InDesign, senza dover ritoccare il codice html dell’ePub stesso e altre operazioni simili… so solo che attualmente non ci riesco e mi affido a un piccolo escamotage che però richiede diverse ore del mio tempo in proporzione al numero di pagine del libro in questione (Nemo – Cuore di Ghiaccio = una mattinata, Strangers in Paradise = 1 giorno e mezzo circa).
Per questo tipo di file chiedo direttamente il pacchetto di stampa a Lorenzo che, avendo tutto in quella cartella, mi permette di caricare direttamente su FTP le cartelle compresse per Enrico, così da interromperlo il meno possibile (fidatevi, quell’uomo non si ferma un momento e sì, ovviamente mi ha pagato in liquirizie per scriverlo).

In percentuale, quanto tempo della tua settimana lavorativa è dedicato a queste operazioni?

Negli ultimi mesi, grosso modo da metà febbraio, sto cercando di convertire in ePub tutti i titoli che avevamo già reso disponibili sullo store Kindle. Questa è un’operazione necessaria per completare la nostra offerta su tutte le piattaforme digitali e, come ho detto prima, una volta che crei un ePub puoi caricarlo su Google Play, iBooks e KOBO (con diversi passaggi per caricare i metadati, ovvero le informazioni pertinenti a ogni singolo titolo). In media, a settimana, alternando riletture da editor e lavori a supporto dell’attività dei grafici, passo almeno quattro/cinque ore al giorno a convertire gli impaginati in ePub e a supervisionare il lavoro di Enrico. Quando mi sarò messo in pari probabilmente potrò dedicare qualche giorno in meno a questa mansione dato che solo al completamento di ciascun nuovo libro (ovviamente se mi ricordo di chiedere a Lorenzo gli impianti di stampa in tempo…).

Quanti titoli ha BAO già disponibili in digitale, e quanti prevedi di renderne disponibili nel 2014?

Allora… su Kindle il nostro catalogo vanta al momento 48 titoli, mentre sul fronte ePub sono poco meno di 40 (ogni store ha tempi diversi per rendere disponibili alla vendita i file, da questo deriva la discrepanza relativa al numero). Rispetto al nostro catalogo che ha all’attivo molti più libri, la disponibilità digitale dipende dai contratti che vengono stipulati con gli autori o con gli altri editori. Purtroppo non sempre si ha la possibilità di convertire in digitale e rendere più leggere le nostre borse e più vuote le nostre librerie fisiche.
Quest’anno, come io e te sappiamo, ci sono in produzione 78 titoli… tutti, ma proprio tutti, avranno una loro versione digitale. La seconda metà del 2014 sarà molto lunga. (Anche per te, Enrico, so che stai leggendo, preparati!)

C’è interazione tra te e i lettori delle edizioni digitali? Che tipo di feedback ricevi, di solito, e come sono considerati i nostri titoli?

Un’interazione diretta no. Mi vengono passate però delle mail in cui, giustamente, ci viene fatto notare che ci sono dei problemi nella visualizzazione di qualche nostro titolo o che non riescono a visualizzare il prodotto come disponibile per il loro device (un esempio su tutti: XXXX non è disponibile nell’applicazione Kindle per iPad, come mai?). Il mio compito in quei casi è contattare direttamente Amazon oppure, in caso di problemi relativi alla qualità, mi occupo di risistemare il file .mobi e di capire come mai un pannello di zoom o un pannello di testo si sia corrotto nella convalida del file.A parte i complimenti che mi fece Amazon agli inizi, leggo sulla nostra pagina Facebook un apprezzamento positivo, del lavoro mio e di Enrico, a quasi ogni post relativo ai prodotti digitali e anche chi scrive per far notare errori o problemi lo fa senza astio nei nostri confronti (insomma, non riceviamo mai commenti del tipo: “CAZZO FATE!!!???111?1?!?”) e la cosa non può che fare piacere.

Insomma, qui in BAO convertire con cura i libri per le piattaforme digitali costa più o meno la metà dello stipendio di un editor e la parcella di un tecnico esterno. Il mercato sta crescendo, come è giusto che sia, in molti casi grazie a lettori che desiderano investire nelle nostre opere, ma hanno o un problema di spazio in casa o il desiderio di spendere meno per leggere un certo fumetto. La nostra previsione è che nel 2015 le vendite digitali varranno, nel nostro bilancio, quanto le vendite del nostro stand a Lucca Comics. L’importante, per noi, come per ogni aspetto del nostro lavoro, è poter lavorare al massimo livello qualitativo, con piena soddisfazione dei nostri autori. Che il risultato si tocchi o si sfogli su un touch screen, poco importa. L’importante è portare più fumetti nella vita della gente.

Elogio della serietà

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Premetto: non sto puntando il dito contro nessuno. E non sono responsabile per l’eventuale combustione di code di paglia.
C’è un bellissimo proverbio americano che dice: If you can’t walk the walk, don’t talk the talk. Significa che se non sai fare bene una cosa dovresti evitare di parlare come un professionista di quella cosa.
Ed è un adagio che vorrei che diventasse parecchio di moda nel campo del quale mi occupo, il Fumetto.
Il mio lavoro concerne una forma di comunicazione e di espressione che ha due enormi valori poco riscontrati in altri medium: esige un minimo di qualità tale da costituire una sorta di “soglia di ingresso” per tenere lontani gli incapaci dagli scaffali delle librerie (quasi tutti, a volte qualche incapace si vende bene agli editori. Ma non dura) e non richiede un’educazione formale, per chi ha l’intelligenza di studiare il mondo, e i propri maestri, con occhio attento.
Insomma, inventarsi il mestiere è possibile, nel Fumetto; è successo a molti di noi che siamo rimasti a farlo abbastanza a lungo da imparare davvero la differenza tra essere professionali ed essere professionisti.
Professionale lo devi essere da subito, altrimenti nessuno vorrà perdere tempo a darti ascolto e opportunità. Professionista ci diventi con il tempo, se riesci ad accumulare abbastanza conoscenze ed esperienze da essere in grado di fare ciò che fai senza la guida di altri. (Autori: non vuol dire senza editing. Rassegnatevi. L’editing vi serve.)
In questi ultimi anni, l’interesse della società civile per il Fumetto è aumentato esponenzialmente. Il mercato si sta lentamente aprendo, le vendite migliorano, per chi sa cercare lettori al di fuori dalle cerchie degli iniziati. Vi sembrerà strano, ma anche il fenomeno, parallelo all’editoria di massa, delle autoproduzioni è sintomo di salute del Fumetto nel nostro Paese. È smania di raccontare senza preoccuparsi del mercato e delle sue regole.
Eppure i comportamenti professionali sono una rarità.
Se sei un giornalista, non puoi chiedermi di concederti un’intervista con un mio autore e poi di promuovere l’intervista sui miei social media. Vuoi i contenuti o la visibilità? Non posso fare il tuo lavoro per te.
Se organizzi una fiera, non puoi aspettarti che venga a fare portfolio review in un’area pro alla quale può accedere qualunque scalzacane solo perché credi che questo aumenti le possibilità di inserimento professionale per gli aspiranti autori che pagano per entrare al tuo evento. Vuoi che indossi una maglietta che dice “io però sono onesto”?
Potrei andare avanti, categoria per categoria, ed entro sera avrei una mail di lamentele da esponenti di ciascuna realtà coinvolta.
Non ne ho bisogno. BAO ha già deciso di non collaborare più con le entità e le persone che non fanno nulla per far crescere il rispetto e la visibilità del Fumetto in Italia. Fiere, scuole, siti, singoli “giornalisti” (le virgolette per rispetto a chi non le merita). Sappiamo chi ci fa perdere tempo, ed evitiamo di averci a che fare.
Se mi si presenta un valido autore di autoproduzioni, con il progetto per un libro che mi entusiasma, io gli propongo un contratto, ma lo prego di non smettere di sperimentare. Gli offro di diventare un professionista, perché l’ho trovato già professionale nell’approccio, ma non ho alcun desiderio o interesse a inaridire la sua creatività, quindi cerco di non sradicarlo dal substrato culturale che l’ha reso interessante ai miei occhi. La sua indisciplina, la sua diversità dall’attuale mainstream per me sono un valore.
Chi invece vuole il diritto di lavorare male e di sedere al mio stesso tavolo, per favore, si levi di torno. E chi fa davvero il mio mestiere smetta di parlare, di lavorare con queste persone.
[A questo punto vi devo ricordare che non ce l’ho con nessuno in particolare, ma in generale con un certo modo di fare.]
Da mesi incontro giornalisti, organizzatori di eventi culturali, responsabili di siti con la voglia di crescere e fare bene, dirigenti di scuole specializzate, perfino amministratori locali sempre più sensibili alla buona editoria, perché essa è il solo possibile veicolo per fare sistematicamente bene al Fumetto. BAO fa di tutto per collaborarvi, tramite interventi diretti, presenze, collaborazioni di ogni tipo, sponsorizzazioni. È importante far crescere il rispetto per la nostra cultura, è vitale essere presi sul serio.
L’attenzione che ora è concessa al Fumetto va spesa bene, da subito. Dobbiamo mostrare il nostro ritratto migliore. Se non siete professionisti, siate professionali, e sorridete verso gli obiettivi che vi inquadrano. Per tutti gli altri, come diceva il Dottor House: Be good, get good, or give up.