Per una definizione obiettiva di romanzo grafico

Magritte aveva capito tutto.

Magritte aveva capito tutto.

Fate attenzione, perché non lo dirò una seconda volta: un romanzo grafico non è un genere letterario. È un formato editoriale.
Una storia unica di 240 pagine, inizialmente serializzata su una rivista antologica, quando viene pubblicata in un volume unico diventa un romanzo grafico.
Sei numeri autoconclusivi di un mensile da edicola, rilegati in un solo volume, non sono un romanzo grafico.
Sei numeri di un mensile da edicola che compongono una storia completa, con abbastanza origine da comprendere la natura dei personaggi e un finale che non obbliga a proseguire la lettura oltre quel punto, sono un romanzo grafico.
Un volume di fumetti, che sia un romanzo grafico o una raccolta di storie, è un libro.
Un premio al “libro dell’anno” va dato a un libro. Romanzo in prosa, saggio medico, audiolibro, tavolette di argilla scolpite in eblaita, fumetto. Se è una voliera per uccelli, non può vincere il premio “libro dell’anno”.
Lo so che se la nostra nicchia resta piccola piccola possiamo farne parte senza dover neanche passare per snob, ma indignarci se qualcuno ci degnava di qualche attenzione andava bene quando non lo faceva quasi nessuno.
Ora ci guardano tutti, per cui vediamo di accogliere a braccia aperte i nuovi arrivati. Basta avvitarci in picchiata in discussioni il cui tema, parafrasato è: “Ora che anche il mio fruttivendolo parla di graphic novel, cosa ci inventiamo di più oscuro e indigesto per il grande pubblico?”, basta sparare ad alzo Zero contro chi propaga il fumetto tra la gente normale. Anzi, basta con “la gente normale”. È normale leggere fumetti. Quello che non è normale è lamentarsi che lo facciano anche gli altri.

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Faccio coming out

Superpoteri che vorrei e la mia opinione sul bicchiere mezzo pieno.

Superpoteri che vorrei e la mia opinione sul bicchiere mezzo pieno.

Ho una confessione da farvi.
Quando scrivete una mail al servizio clienti BAO, la risposta sarà sempre firmata “Cordialmente, BAO Publishing”, ma nel 99,9% dei casi a scrivervi sarò io.
Lo faccio perché solitamente è una mansione che mi prende pochi minuti al giorno, sono quello più esperto qui di relazioni con il cliente, e ho il permesso di prendere decisioni come upgrade di metodi di spedizione, sostituzione di copie fallate, omaggi, sconti eccetera.
Ovviamente nei giorni successivi al clamoroso crash del nostro sito per il preorder della Variant del nuovo libro di Zerocalcare mi sono trovato con un bel po’ di lavoro in più del solito, e sto ancora smistando le mail di chi ha bisogno di essere rassicurato sullo stato del proprio ordine.
Una cosa che mi piace moltissimo è che, pur nel disagio, la maggior parte di chi ci scrive fa i complimenti per il nostro impegno. Io, se dovessi prendermi la briga di scrivere a un’azienda per avere conferma di una procedura che normalmente darei per scontata, non sarei in vena di fare complimenti. Rispondo sempre ringraziando, e sono felice di poter asserire che finora abbiamo risolto con soddisfazione dei clienti (preferisco “lettori”, ma quando mi scrivono per sapere se i loro soldi sono arrivati a destinazione è giusto usare una parola differente) la totalità dei problemi che ci sono stati posti.

Questa mattina ho risposto a un cliente che ci ha dato dei “maleducati”, per non avergli ancora risposto, ma che era piccato soprattutto perché il suo libro non era ancora arrivato. Gli ho spiegato che si trattava di un preorder, e per tutta risposta, appigliandosi solo ancora al fatto che ci avevamo messo troppo tempo per i suoi gusti a rispondere, mi ha dato del “vile anonimo”.
Ora, dubito che quel signore legga questo blog. Ma sono risalito al suo IBAN, e gli ho fatto restituire la somma versata, cancellando il suo ordine. E ora buona fortuna a trovare una Variant di Dimentica il mio nome.
La morale di questa storia è che non siamo tenuti a sopportare qualunque cosa. E anche se lo fossimo, non sarebbe un buon motivo per trattarci male, nemmeno quando il nostro servizio non è all’altezza delle (legittime) aspettative dei clienti. Si può avere davvero sfortuna e offendere uno che è nella posizione di decidere che può permettersi di perdere un cliente per sempre. E comunque se sapessi che un mio dipendente viene trattato in quel modo, lo priverei solo del piacere di rispondere io, per le rime, al maleducato.
Se non si fosse capito, non siamo qui soltanto per darvi la possibilità di leggere ottanta bei fumetti in più all’anno. Vogliamo migliorare le cose, nel mondo del Fumetto. E le buone maniere non sono una cosa poco importante.
Detto questo, prometto che questa settimana finisco di rispondere alle mail dei clienti rimaste in arretrato. Grazie della pazienza e, you know who you are, dei complimenti, che cercheremo di meritare sempre.

“Se” – Settima puntata (Devo farvi incazzare)

Il Maneki-Neko porta grana. Aprire la bocca senza pensare porta grane.

Il Maneki-Neko porta grana. Aprire la bocca senza pensare porta grane.

Se la smetti di domandarti “Come posso spendere di meno?” e cominci a chiederti “Come posso guadagnare di più?” scoprirai di aver cambiato marcia da “crisi” a “ripresa”.*
(Se ci pensi da lettore, e sostituisci “guadagnare” con “ottenere”, capirai chi ti prende in giro e chi cerca di darti di più. In tutti gli ambiti della tua esperienza con l’Editoria.**)

* Fumetterie, volete il reso? BAO ve l’ha offerto. Lo volete con la stessa scontistica che avete per il conto assoluto? Non esiste in economia, è un assurdo. ***

** Lettori, ma davvero la sola cosa che vi importa è pagare il 15% in meno i libri? Toccarli, valutarli, farvi un’idea non conta nulla? Il consiglio del libraio? Eppure il 40% di voi compra ancora in fumetteria. Un perché ci sarà. ****

*** Non pubblicherò i vostri commenti qui e li cancellerò da Facebook. Risparmiatevi brutte figure. Se volete parlare, SUL SERIO, scrivetemi privatamente.  *****

**** Sapete qual è il solo modo in cui i prezzi dei fumetti possono scendere? Se ne comprate di più. *****

***** Noi non possiamo sapere dei disservizi della distribuzione. Per quanto ci riguarda, tutti i nostri libri sono sempre disponibili. Anziché fare i complottisti, quando qualcosa non funziona, segnalatecelo. Costringeremo i distributori a lavorare meglio. QUESTA è democrazia partecipata, non riavere il Winner Taco. ******

****** Mi sento David Foster Wallace a fare note alle note delle note. Sappiate che tutto quello che direte in reazione a questo post mi rovinerà l’umore per giorni. Ma il mio lavoro è portare tanti ottimi fumetti sotto gli occhi di più persone possibile e far sì che quelle persone siano contente dell’esperienza, dal momento in cui apprendono dell’esistenza di quei fumetti al momento in cui finiscono di leggerne l’ultima pagina. Tutto ciò che mi ostacola in questo compito è il nemico. Quindi ben venga il mio fegato ingrossato, se serve a cominciare a farvi ragionare.

“Se” – Quarta puntata

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Qualche settimana fa il tipografo mi ha chiesto se E la chiamano estate lo volevamo far rilegare a sedicesimi o a trentaduesimi. La seconda soluzione ci avrebbe fatto risparmiare venti centesimi a copia, ma la prima avrebbe dato maggiore solidità, compattezza ed elasticità al dorso. E io odio quando un libro si squaderna mentre lo leggo.

Stamattina ho attribuito i codici ISBN a tutti i libri del resto dell’anno. È un lavoro sporco, noioso, ma mentre completavo le caselle del piano editoriale 2014 (e anche di un pezzetto di quello del 2015) provavo una crescente soddisfazione, come quando da bambino completi un album di figurine con gli ultimi pezzi a lungo attesi e cercati.
L’altro giorno, con il contafili, mentre ero solo in redazione, ho controllato la grana della stampa di Come Prima per assicurarmi della rispondenza all’originale. Avevo chiesto espressamente che fosse stampata con una macchina tradizionale, con il retino a rosetta, non stocastico, per avere maggior controllo della somiglianza con il volume francese.
Il mio lavoro è lo stesso delle posate al ristorante: se lo faccio bene non mi si nota. Ma se non fai fatica a tagliare la bistecca mi sarai silenziosamente grato.
Se non capisci la gioia che dà fare scelte invisibili come queste, tu e io non facciamo lo stesso mestiere.

Il premio migliore

Domenica ho fatto un bel po’ di lavoro di fatica, caricando in macchina scatoloni di fumetti alla BAO Boutique Brera mentre era in corso la merenda finale a base di pane e Nutella, per poi portare il tutto alla redazione, dove ieri la mia fantastica squadra ha metabolizzato quel mare di scatoloni in poche ore.
Verso le sei di sera ho inforcato la bicicletta in Via Solferino, pronto a tornare a casa per una meritata, necessaria doccia, quando un ragazzo mi è venuto incontro e mi ha dato questa lettera per la redazione. Mi scuso con lui se la pubblico qui, ma non mi ha dato alcun modo per contattarlo.

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Le prossime due volte che non vinceremo un Gran Guinigi, la prossima volta che qualcuno dirà una cattiveria su di me, la prossima volta in cui la salita per portare il mio lavoro a un livello accettabile mi sembrerà troppo ripida, io mi ricorderò che ho meritato questa lettera.
Non riesco a pensare a un premio migliore e mi ha dato la forza di affrontare l’ultimo sprint di questo periodo di fatica terrificante, in cui ho trascurato ogni aspetto della mia esistenza che non fosse strettamente legato al lavoro.
Fatti vivo, ragazzo con le basette. Voglio farti fare un giro della redazione e ringraziarti per ciò che ci hai dato tu.

Sono in para dura*

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Il ricordo di Roberto “Freak” Antoni di Vanna Vinci.

In questi giorni il mondo del fumetto è scosso da piccole guerre segrete. Per impedire a certi autori di lavorare con certi editori. Alle fumetterie di ricevere certi titoli. Tutto per cercare di tenersi stretti i lettori che già si hanno, non sia mai che si distraggano con un hobby più capillarmente disponibile o, men che meno con altri fumetti.
Una persona saggia mi ha suggerito che tutta la filosofia di cui c’è bisogno nella vita, se fai fumetti, sta nell’intro di Eptadone degli Skiantos. Credo che riassuma bene la mia reazione a queste tempeste in un bicchier d’acqua.
Quindi, nelle immortali parole di Freak Antoni:

Ma chi cazzo se ne frega?
Hai della merda o no?
Schiodiamoci!

E la postilla:
Ma che viaggio ti fai?!

Nella speranza che ci si renda presto conto che solo facendo fronte comune all’ignoranza riusciremo a far crescere il lettorato e il rispetto per il Fumetto nel nostro paese, che è allo stesso pigro e supponente, e ha paura di tutto ciò che lo stimola a pensare. Quella contro l’indifferenza culturale è la sola guerra che ci interessa e che ci vedrà sempre in prima linea.

*Essi, terza persona plurale.

In ricordo dei buoni maestri

Questo post lo scrivo di pomeriggio per pubblicarlo oggi stesso, perché non mi importa quanta gente lo legge. Direi che è personale, ma in questo mestiere ogni cosa è personale.
Ieri è mancato Dick Ayers. Era un disegnatore straordinario, che quelli della vecchia scuola definivano “della vecchia scuola”. Ho letto che non c’era più e mi sono detto: “Quando avevo ventun’anni mi disegnò una copertina”. La frase mi è sembrata assurda e mi ha costretto a riflettere.
Io ho cominciato a fare questo mestiere molto giovane. MOLTO giovane. E ho perso la mia bella dose di amici, per lo più perché il mondo del fumetto tende a erodere i confini tra le generazioni, a non far pesare la differenza di età.
Mi ricordo quando credevamo tutti che Archie Goodwin avesse sconfitto il cancro, e come tre settimane dopo non ci fosse più. Gli avevo parlato l’ultima volta il mese prima.
Mi ricordo quando ho ricevuto per posta gli auguri di Natale di Joe Orlando, tre giorni dopo la sua morte. Diceva che ci saremmo sentiti dopo le feste, perché “avevamo tutto il tempo” per fare quel certo lavoro insieme.
Mi ricordo l’estate in cui mancò Mike Wieringo, nel fiore degli anni, Mike il cui padre avevo portato a spasso per Venezia e Treviso e cui non ho mai saputo scrivere per dirgli quanto fosse stato importante per me suo figlio.
E due estati fa, quando mi sono trovato a ridere in una chiesa di campagna agli aneddoti su Sergio Toppi. Non avevo mai riso a un funerale, prima, e mai mi sarei aspettato che succedesse alle esequie di un uomo tanto serio e pacato.
Non sto cercando di deprimervi. Voglio solo raccontarvi che ciascuna di queste persone mi ha insegnato qualcosa sull’etica di questo lavoro, sulla folle abnegazione che ci vuole per farlo bene. Forse proprio perché ho conosciuto alcuni immensi maestri quando ero davvero piccolo, sento di non avere idoli ed eroi oggi, ma ho il dovere di meritarmi l’attenzione che mi diedero, e di onorare la loro lezione.
Ieri ho saputo che Dick Ayers non c’è più e mi sono ricordato un ometto gentile, cui piacevo perché gli parlavo nella sua lingua di posti che non aveva visto mai. Amavo le sue storie western e mi aveva fatto riflettere sul fatto che prima o poi tutti si stancano dei supereroi.

Lavoro in un’azienda molto giovane, molto dinamica, molto moderna. Non sono la persona più anziana nell’organico, ma il vecchio della redazione sono io. È il mio dovere. Io mi assicuro che i libri che escono da quelle stanze siano del tipo che avrebbe soddisfatto e stupito i miei mentori.
Grazie perché mi date la scusa per meritare ogni giorno il rispetto di chi mi ha insegnato questo mestiere.

 

Il sottoscritto nella Luncheon Room della Society of Illustrators, con una cravatta agghiacciante che solo a ventun'anni può sembrare una buona idea, tra Tom Palmer, Joe Orlando, Mike Carlin e Mark Chiarello, nel 1997.

Il sottoscritto nella Luncheon Room della Society of Illustrators, con una cravatta agghiacciante che solo a ventun’anni può sembrare una buona idea, tra Tom Palmer, Joe Orlando, Mike Carlin e Mark Chiarello, nel 1997.