Cosa resterà del 2016*

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L’unica volta a memoria umana in cui Zerocalcare si sia divertito in televisione.

Avvertenza: questo posto è noioso. Parla per lo più di numeri.

Sapete qual è la cosa più difficile, dopo sette anni che lavoriamo per far crescere questa Casa editrice? Scegliere i libri. Anni fa era più semplice: andavamo di pancia, molto spesso, cercando di fare cose come non ce n’erano sugli scaffali. A volte andava benino, a volte andava male. Sapevamo che l’editoria è sperimentazione, sempre, e cercavamo di fare errori che ci insegnassero qualcosa di utile per il futuro. Così è stato, ma quando hai fatto un sufficiente numero di errori cominciano a scarseggiare gli errori che ti puoi permettere. Scopri un libro che ti piace e ti domandi se piacerà ad abbastanza persone, sapendo che se non sarà così avrai comunque degli obblighi nei confronti di chi te lo avrà stampato, di chi te lo avrà distribuito, di chi lo avrà cercato di vendere, dei tuoi dipendenti. Ogni giorno leggiamo libri e progetti e li valutiamo con entusiasmo e coscienza, ma ogni giorno ci domandiamo se l’obbligo di avere successo stia influenzando le nostre scelte.
Per quanto riguarda la seduzione dei libri “facili”, posso dire con coscienza che non ci siamo lasciati tentare. Quando pubblichiamo un libro pop, leggero, è perché ci piace davvero, non per blandire una fascia più ampia di potenziali lettori. A volte, però, rifiutiamo progetti o libri che non hanno nulla di sbagliato, ma non sono davvero per noi. In moltissimi casi non vanno bene perché non ci riconosciamo in quei lavori, sentiamo che non contribuirebbero all’identità del nostro catalogo. Altre volte, abbiamo paura che quei libri non interessino a nessuno.
Una parte di me vorrebbe poter essere l’editore che non deve preoccuparsi mai di questa possibilità, ma la verità è che non esiste, un editore così. Non preoccuparsi dell’esito commerciale di un’opera è prerogativa del suo autore. L’editore ha responsabilità molto ramificate. E ha una montagna molto impervia da scalare.

Un recente studio sulle abitudini di acquisto degli italiani ha rivelato che quasi il 20% dei nostri connazionali non spende denaro per nulla che sia considerato culturale. Mai. Significa che una persona su cinque di quelle che incontrate ogni giorno in un anno non compra un giornale
non compra un libro
non va al cinema
non va a teatro
non va a un concerto
non visita un museo o una mostra
non va allo stadio
non va in discoteca.

[Pausa: Sì, nello studio ci sono anche lo stadio e la discoteca. Chi lo ha fatto voleva disperatamente includere, in qualche modo, tutti, ma proprio tutti. E UN QUINTO DELLA POPOLAZIONE è riuscito comunque a sfuggire ai parametri di indagine. Riflettiamo.]

Visto che è assolutamente certo che queste persone non leggono questo blog (oddio, non è detto: è gratis. Magari il problema è quello) potrei dirne tutto il peggio, ma in realtà a me quelle persone interessano moltissimo. Perché voglio credere che prima o poi riuscirò a vendere loro un fumetto.
Questo post è un rapporto dal fronte più strano e imprevedibile, il più avanzato in territorio babbano di tutto lo sforzo bellico dell’industria del Fumetto: quello delle librerie generaliste. Quello dove gente che era entrata per comprare un romanzo a volte esce con (anche) un romanzo grafico.
Di quanta gente stiamo parlando, di preciso? Beppe Severgnini dice che probabilmente i fruitori di cultura in Italia sono cinque milioni di persone. La guerra non convenzionale che editori come BAO stanno conducendo ha un duplice scopo: far sì che sempre più persone tra quelle che sono disposte a comprare un libro a volte ne comprino uno a fumetti e portare sempre più persone in libreria e in fumetteria.
Non è una cosa facile, ma piano piano a quanto pare ci stiamo riuscendo.

La foto dell’anno, per me, resta quella della fila in Galleria Vittorio Emanuele a Milano la sera dell’11 aprile, in attesa dell’apertura serale della Feltrinelli Duomo per l’anteprima di Kobane Calling. Oltre duecentocinquanta persone, dall’ingresso della libreria fino a Piazza della Scala. E l’autore non c’era (lo ricordo bene perché era con me, a Roma, ad affrontare una scena analoga, che si è conclusa alle 4:20 del mattino dopo aver dedicato circa settecento copie del libro.)
Da quel momento, non c’è stato un solo operatore commerciale nel mondo del libro che non si sia interessato a noi e al nostro lavoro, l’anno scorso, e questo ha fatto bene anche a novità meno visibili ed eclatanti e al catalogo.

Nel 2016 abbiamo mandato in stampa 74 libri. (Il capo grafico mi informa che il mese più produttivo è stato settembre, con 8 titoli prima edizione e 9 titoli in ristampa, mentre il mese più scarico è stato marzo, con 3 libri in prima edizione e 1 libro in ristampa.)

Stando al piano editoriale avremmo dovuto stampare in tutto 349.000 copie dei titoli previsti, ma nel corso dell’anno si sono rese necessarie 86.500 copie di ristampe, suddivise tra ventiquattro titoli diversi. Questo è un numero molto incoraggiante, soprattutto perché non ha riguardato solamente i libri di prevedibile successo.

I libri di autori italiani sono quelli che hanno avuto il migliore aumento di performance, l’anno scorso. Se cinque anni fa la tiratura base per un titolo italiano era di duemila copie, quest’anno la maggior parte ha avuto tirature di partenza di tremilacinquecento copie e, spesso, ristampe entro pochi mesi.

Un capitale che il mondo del fumetto porta all’editoria generalista è la fedeltà del suo pubblico. In Italia sei considerato un lettore forte se compri sei-otto libri in un anno. Pensate a quanti fumetti comprate in un mese. Voi siete lettori fortissimi, invincibili. Ecco perché non devono stupire i risultati lusinghieri dei nostri titoli migliori.
I top seller dell’anno sono stati Kobane Calling, con quasi novantamila copie da aprile, Il buio in sala di Leo Ortolani, con poco meno di ventimila, Il suono del mondo a memoria di Giacomo Bevilacqua e Fight Club 2, che sfiorano le diecimila ciascuno, Saga Volume 6 e Da quassù la terra è bellissima, di Toni Bruno, rispettivamente con seimila e cinquemila copie vendute. Il porto proibito, che era uscito a maggio del 2015, nel 2016 ha venduto, tra la vecchia e la nuova edizione, altre quattromila copie.
Il nostro venduto, in libreria generalista, è aumentato circa del 20%, dall’anno precedente.

Dopo aver cambiato distributore per le fumetterie e aver implementato il catalogo Preview insieme alla Sergio Bonelli Editore, il nostro venduto in fumetteria è aumentato del 6%. La cosa più importante è che il catalogo, cioè i titoli degli anni precedenti, è diventato di più facile reperibilità, e questo è il primo sintomo della possibilità di migliorare realmente il numero di lettori che ci comprano in fumetteria. C’è ancora molto da fare, ma con paciencia y con carinho continueremo a lavorare per migliorare la situazione.
L’anno scorso il nostro Shop online ha registrato un calo di vendite, perché abbiamo deciso di avere meno prodotti in esclusiva, proprio per non penalizzare chi ci vende ogni giorno.
Per completezza di informazione, sappiate anche che le edizioni in digitale dei nostri titoli hanno visto un aumento delle vendite del 16% e le vendite alle fiere del 50% (la nostra Top 3 delle fiere, in ordine decrescente: Lucca Comics & Games, Salone del libro di Torino e Più Libri Più Liberi a Roma).

Il mercato del Fumetto nelle librerie generaliste nel 2016, in generale, ha visto una crescita del 16%, e ora vale quasi dodici milioni di euro l’anno. I fumetti in libreria sono circa il 9% del totale dei titoli di narrativa disponibili, ma in termini economici il mercato dei fumetti in libreria generalista vale circa l’1% del totale dei libri venduti nell’anno. C’è ancora molta strada da fare.
In questo anno appena concluso si sarebbe potuti crescere di più, ma un paio di Case editrici importanti per il mercato librario sono in una fase interlocutoria, per ragioni interne, e probabilmente questo ha limitato l’espansione del mercato, che si è comunque comportato in modo incoraggiante e soddisfacente.

Se siete arrivati a leggere fin qui nonostante sia ormai palese che l’avvertenza iniziale diceva il vero, vi domanderete perché io affronti solo i dati relativi alle librerie. Il motivo è duplice: in primis, BAO non vende in edicola e per le fumetterie sappiamo solo i dati che riguardano la nostra Casa editrice; in secundis, per il momento le librerie generaliste (e in piccola parte la GDO, la grande distribuzione, che riguarda pochissimo i fumetti) sono i luoghi dove è più probabile intercettare chi ancora non pensava di voler leggere fumetti o, preda ancora più preziosa, chi non pensava di poter spendere dei soldi per una cosa rettangolare fatta di fogli di carta stampati e tenuti insieme da una rilegatura su un lato. Sono loro, per noi, l’unicorno.
Ogni volta che convinciamo qualcuno che i fumetti non si comprano solo in edicola nei mesi estivi
ogni volta che portiamo un lettore occasionale in fumetteria per la prima volta
ogni volta che convinciamo un lettore di romanzi in prosa a non diffidare del Fumetto
ogni volta che dopo una presentazione un lettore ci confida che era la prima volta che veniva a un evento del genere
ogni volta che qualcuno compra due copie di un nostro libro perché “una la devo regalare”
registriamo una piccola vittoria. I numeri sono solo numeri, servono a farci prendere sul serio da chi deve capire che abbiamo sempre fatto sul serio.

Dopo sette anni non possiamo permetterci di scegliere di pubblicare un libro senza pensare alle conseguenze di quella scelta, ma continuiamo a sperimentare, e a prendere a spallate la nicchia in cui dieci anni fa era relegato il Fumetto nel discorso culturale italiano. Ora la nicchia è un piacevole trilocale e intendiamo continuare la ristrutturazione. Grazie per l’aiuto che ci date leggendoci, criticandoci, costringendoci a inventare sempre cose nuove per meritarci la vostra attenzione.
Il dato più importante, per me, è che mi fate ancora venire più spesso voglia di sorridere che di bestemmiare. Sarà un 2017 di fumetti meravigliosi.

* Perché non posso sempre citare poeti misconosciuti di inizio Novecento. Quindi oggi vi beccate Raf.

21 pensieri su “Cosa resterà del 2016*

  1. Alla fine molto “lavoro appassionato” lo facciamo anche noi lettori di fumetti. Chi non conosce questo mondo diffida a priori oltre che consigliare un fumetto da far leggere la prima volta mi pare più difficile di consigliare un libro. Può piacere la storia ma non il disegno ( e viceversa ), può essere scontato per noi il modo in cui va letto e quindi rischiare di consigliare qualcosa di troppo “complicato”. Ogni volta che provo a convincere qualcuno della validità del fumetto mi sembra di ritrovarmi in una diatriba carnivori vegetariani ( non sempre, ma spesso ). Quando riesci a consigliare quello giusto però sì, sei felice, perché quello dei fumetti è un mondo splendido e che spesso richiede molta più ricerca da parte del lettore nella scelta, figuriamoci a consigliarlo cercando di interpretare i gusti dell’altro. È vero Zerocalcare ed Ortolani hanno aiutato molto, sono diretti comprensibili , fanno ridere ma affrontano anche argomenti seri ( Ortolani più su ratman ultimo periodo ha effettuato questo percorso ). Però per quanto amo questi autori lì è “vincere facile”. È stato più dure convincere amici della bellezza di Maus o di Il Nao di Bao che a prima vista prendono di meno, invece richiedevano solo un po’ di immersione. Comunque scusate la lunghezza del post, sono estremamente felice che il fumetto cominci seriamente a ritagliarsi il suo degno spazio in Italia. Noi lettori siamo in prima linea nel darvi una mano.

  2. Ho incontrato i volumi BAO poco meno di un anno e mezzo fa e mi impressiona pensare alla velocità con cui mi hanno trasformata in lettrice fedele, da semplice bighellonatrice di fumetterie. La qualità degli oggetti a cui date vita parte dalle storie e arriva fino alla materialità del libro stesso: l’appagamento che dà il peso dei volumi quando li si tiene tra le mani, la soddisfazione dell’occhio quando se ne osservano i dorsi nella libreria… ecco, è un valore aggiunto che ogni amante dei libri certamente apprezza e di cui ti (vi) voglio ringraziare. L’esperienza di BAO e la grandissima attenzione che mettete in ogni volume sono sicuramente tra le ragioni ispiratrici per cui ho deciso di intraprendere un percorso nell’editoria. Seguo il blog con interesse, per cui quando avrai la tentazione di trascurarlo ricorda che per i giovani editori la tua inside view è preziosa!
    Matilde

  3. Niente da eccepire, Michele. Il tuo/vostro lavoro è sotto gli occhi di tutti.
    Ma… E se per quelle opere che “non interessano a nessuno” ci fosse una microcollana ad hoc, oppure una rivista, o una sezione del sito ecc. Non è il ruolo di Bao, ma le piccole realtà autoprodotte o i microeditori, che tu conosci benissimo, sono realmente *invisibili*. Per entrare in contatto con quei libri è necessario un enorme lavoro di ricerca, oppure il caso (molto molto fortuito). Con la forza che ha oggi Bao, potresti pensare a una piccolissima porzione del catalogo dedicata – e dichiaratamente – proprio a quelle produzioni invisibili ma importanti, una o due l’anno, che potrebbero diventare volano per tutto il mondo di quel fumetto che al momento interessa a pochi, ma potrebbe potenzialmente interessare a parecchi.
    Immagino una possibile tua risposta: “ci sono già tanti colleghi che fanno questo lavoro”. Ma tu sai anche che si tratta di realtà piccolissime – anche se spesso coraggiose – che non hanno forza contrattuale, né una reale diffusione, e che puntano quasi tutto sul passaparola.
    Insomma: spero di aver scritto cose comprensibili e ti saluto,
    e-

    • Sai, Enrico, in realtà lo facciamo già. Nel senso che diversi libri all’anno li facciamo semplicemente perché sono “troppo BAO” per non farli, e non ci importa di quanto venderanno. Ci serve anche a capire se il pubblico ci segue, e quanto, e quindi anche le potenziali perdite sono calcolate in partenza e diventano accettabili. Però non possiamo pubblicare collane o sezioni di catalogo di materiale poco appetibile perché devi pensare che per noi i costi sono più o meno sempre gli stessi: un libro che vende zero copie e uno che ne vende cinquemila ci costano, in ore lavoro, stampa, distribuzione e via dicendo, grosso modo la stessa cifra. La nostra fortuna è che, avendo a disposizione anche un pubblico “nuovo” come quello di chi ha iniziato a leggere Fumetto da poco spesso scopriamo che cose che temevamo interessare a pochi invece hanno un pubblico più nutrito di quanto immaginavamo. Continueremo a provare, ma per noi è importante affinare la qualità e l’efficacia narrativa dei libri che pubblichiamo. Grazie per il commento!

      • Prego, e grazie a te per la risposta.
        Certo, è come dici – e ci mancherebbe altro… – se la tiratura è la stessa, e a parità di royalties, un libro che vende zero e uno che va esaurito costano grossomodo la stessa identica cifra. E so che rischiate con autori “giovani” e non di grido. Ma una collana/rivista/sito/qualcosa che faccia da traino alle opere più rischiose è quasi una necessità – non per Bao, ma per tutti: lettori, autori, non lettori, Paese, provincia ecc.
        Purtroppo sai bene che creare un libro a fumetti è uno sforzo enorme e nella piccola fucina dell’indie italiano questo sforzo non è quasi mai retribuito come converrebbe. Questo implica tutta una serie di conseguenze: gli autori si perdono, le idee diventano confuse, le innovazioni non nascono ecc.
        Il lavoro che svolgevano le riviste (penso a Hora Cero in Argentina, che ha prodotto il mostruoso capolavoro di Oesterheld, ma anche all’Italia raccontata da Scozzàri, in “Prima pagare, poi ricordare”) che riuscivano a pagare gli autori per sperimentare linee, storie, distopie, oggi chi lo fa? Mi pare proprio che la risposta sia: nessuno (e no parlo solo di fumetto o libri).
        Per dire: Corto esisterebbe senza Sgt. Kirk? Hai voglia a dire che Pratt sarebbe su facebook e/o avrebbe il suo sito e pubblicherebbe la Ballata una tavola alla volta, la domenica…
        Un abbraccio,
        e-

      • Tutto molto vero e molto giusto, Enrico, ma hai fatto caso che le riviste antologiche sono morte di colpo più o meno alla fine della prima metà degli anni Novanta? E non sono mai tornate di moda presso i lettori, sono un formato rischiosissimo e che non si sostiene più, appannaggio tra l’altro degli editori da edicola, l’unico canale distributivo cui noi per scelta non abbiamo accesso. Quindi temo che questa strada tocchi percorrerla ad altri, ma non è certo per smarcarci dal bisogno di fare editoria di ricerca!

      • Scrivo qui in risposta al tuo ultimo commento [dove WP non mi fa scrivere]. E poi smetto, giuro.
        Fare una nuova Comic Art non avrebbe senso. Né per Bao, né per altri. Ma, come scrivi anche tu, ormai, nella posizione in cui sei, in cui è Bao (grazie al duro lavoro, alla ricerca, e a un po’ di fortuna, anche), tu e Bao potreste contribuire ulteriormente al tentativo di renderci un po’ migliori.
        Ci sono già dei titoli rischiosi nel tuo catalogo, si tratterebbe solo di indicare una strada, prendere per mano una parte dei lettori Bao e provare a far leggere loro qualcosa che al momento è troppo sotterraneo e mal sviluppato per problemi economici. Sviluppandolo meglio. Come?
        Di sicuro sarebbe importante mettere una sorta di “bollino”, di indicazione di rischio per il lettore e per l’editore – anche per non compromettere il rapporto di fiducia fra voi e chi compra i vostri libri. Un formato particolare? Un prezzo particolare?
        Insomma: spero di aver gettato un piccolo seme nel tuo fertilissimo giardino editoriale.
        E la smetto qui, come scrivevo su.
        Ciao, vi osservo (con piacere),
        e-

      • Enrico–
        per me possiamo continuare a parlarne quanto vuoi, ma hai una visione naif di cosa comporti pubblicare un libro. In sintesi mi stai suggerendo di pubblicare libri di scarso interesse generale (le buone ragioni le ho capite e le condivido), al prezzo più basso possibile, indicando in copertina con una grafica apposita qualcosa che significa in pratica “POTREBBE NON FREGARTENE NIENTE MA TU PROVALO LO STESSO”. Potrei farti esempi di libri che secondo me dovrebbero essere in ogni casa e si sono rivelati un flop. Al di là del desiderio e della necessità di sperimentare, io ho il dovere di non sabotarla, la mia azienda. Quindi questo tipo di scelte si limiterà, per forza di cose, al pubblicare cose diverse da ciò che il pubblico si aspetta già da noi, gradatamente, ma senza ghettizzare queste scelte in una collana apposita. Spero che quel che dico abbia senso anche per te!

      • Sì, Michele, certo che ha un senso. Amici come prima e lunga vita alle realtà editoriali come Bao.
        Ed è certamente vero che se fossi io ad avere una qualche responsabilità editoriale, al posto tuo, l’azienda naufragherebbe in un lampo 🙂
        Ciao, di nuovo,
        e-

  4. Forse sbaglio, ma una spiegazione di quel 20% che non spende in cultura è perché non ne ha l’occasione. Nei piccoli paesi di provincia, spesso, non ci sono librerie, né teatri, né altro. I giovani si muovono, vanno ai concerti, allo stadio … o a Lucca Comics! Ma i più maturi (come il sottoscritto) sono pigri e non fanno chilometri per comprare un libro. D’altra parte, come ripeto da tempo, un giornalino da pochi euro si può ordinarlo a scatola chiusa, un libro bisogna vederlo, tenerlo in mano.
    Mi rendo conto che è un bel problema far arrivare i libri a fumetti nelle piccole cartolibrerie (unici punti vendita di libri diffusi capillarmente), ma i potenziali clienti si moltiplicherebbero. Bisognerebbe studiare la fattibilità di una rete di rappresentanti editoriali (non so se chiamano così), pubblicizzare il marchio con campagne a livello nazionale e proporre ai negozianti una sorta di “Baopoint” con esposizione del marchio e materiale pubblicitario da distribuire ai clienti.
    Comunque grazie di esistere.

    • Luca, ti assicuro che chi ha desiderio di cultura trova il modo. Se fosse come dici tu, Amazon e IBS avrebbero dei picchi di venduto nei piccolissimi centri, cosa che non è. Ti assicuro che è un problema di disinteresse di fondo, che va al di là dell’offerta culturale e dell’accessibilità della stessa. Lo so che è terrificante da contemplare, ma è così. Ci lavoreremo, ma stiamo parlando di educazione di base. Stiamo parlando della risposta alla domanda che ti fai davanti alla televisione-spazzatura quando ti domandi: “Ma chi li guarda, questi programmi?” La risposta è quel 20%.

  5. Salve,
    decisamente in ritardo, provo a commenate questo post che trovo molto interessante (non mi dispiacciono i numeri) e molti spunti di riflessione.
    Intanto, finalmente qualcuno che pubblica i dati di vendita dei propri libri: tanto di cappello. [ma perchè in Italia, in generale, non vengono pubblicati i dati di vendita? Che sia un libro o un CD…]. A parte l’eccezione di Zerocalcare, gli altri volumi dimostrano l’ottima vitalità e qualità della cura Bao per la promozione dei fumetti nella “vita” culturale in Italia. Qui mi dimostrerai il contrario, ma ho sempre pensato che la Bao ha raccolto il testimone della Coconino per portarlo ad uno step successivo e superiore. E mi auguro che andrete molto più avanti.

    L’altro punto che mi ha colpito , ma non mi trova d’accordo, è ” i fruitori di cultura in Italia sono cinque milioni di persone, secondo Severgini”. Secondo me questa stima è molto eccessiva e non proprio esatta. E’ vero che in tale cifra una percentuale maggiore viene data da chi va in discoteca o allo stadio, ma quella di chi solo acquista libri ,o CD o va ad un concerto, è molto minore. E temo che questa cifra non sia molto cambiata. Provo a spiegarmi meglio. Circa venti anni fa, i CSI riuscirono ad andare primi in classifica con l’album “T.R.E.” perchè a detta di loro, tutti i loro ascoltatori comprarono nella prima settimana l’album: erano circa 80.000/100.000 persone. Tale cifra, secondo un editoriale de il Mucchio Selvaggio o Rumore dell’epoca, era quella dei fruitori attivi culturalmente in Italia, diciamo lo zoccolo duro, che chi riusciva a superlo, poteva arrivare anche alla gente “comune”. Ecco, i dati di vendita di Kobane Calling di ZC mi conferma che esiste e non si è modificata tale teoria. Non ancora. E che il vostro pubblico è compreso ancora quello zoccolo duro. Però state lavorando per andare oltre e l’iniziativi come il negozio temporaneo a Milano , mi è sembrato, proprio ad ottenerlo. Inoltre, a fronte anche di molte chiusure di librerie generaliste, questi dati di vendita dimostrano che c’è forse un inversione di tendenza: lo spero perchè ogni volta che mi reco in centro a Firenze le librerie lì rimaste sono ormai solo due , la Feltrinelli e IBS. E pensare che c’era la Marzocco una delle più grandi in Italia…

    Sul disinteresse del pubblico, mi tocca più da vicino: facendo parte di un piccolo comitato organizzatore di un piccolo festival cinematografico in provincia, ogni anno ci troviamo a combattere con la pigrizia e anche il menefreghismo del pubblico a partecipare a piccoli eventi culturali come il nostro (ché da anni è gratis). Solo l’anno scorso 2016, avendo avuto Carlo Verdone, abbiamo avuto una grandissima risposta di pubblico (ci è piaciuto per una volta vincere facile…:D), mentre nel 2015 con Abel Ferrara non è andata come avremmo sperato.
    Chiudo, augurandovi un 2017 uguale o superiore al 2016.
    Ciao
    Giulio
    PS Se possibile, vorrei sapere i dati di vendita di Golem e Atrogamma di LRNZ, Meka Cham di C. Acciari e La Distanza di Bronciani & Colapesce. Grazie

    • Comprendo il tuo ragionamento, Giulio, ma non è basato su dati verificabili: ammetterai che, in un mondo in cui a dominare le classifiche sono Laura Pausini e Fabio Volo, i CSI e Zerocalcare sono comunque degli outsider, dei fenomeni quasi di nicchia. Detto questo, a oggi Golem ha venduto oltre ottomila copie, La distanza oltre seimila e Meka Chan poco meno di duemila. A presto!

      • Grazie per la risposta e i dati: davvero un bel risultato per Golem e La distanza; Meka Chan avrei sperato sopra le duemila. Comunque sia, complimeti: davvero un buon risulato.
        E ammetto che il mio ragionamento è basato appunto su dati non verificabili: non avendoli purtroppo ho costruito un sillogismo logico per dare fondamento alla mia teoria. Purtroppo qua in Italia quei dati non li avremo mai e quindi le mie ipotesi rimarranno sempre ipotesi. (E anche quelle di Severgnini ^_-) )
        Poi mai vorrei accostare ZC a Fabio Volo e Pausini ai CSI: hanno (per fortuna?) pubblico, sensibilità e spessore culturale diverso. ^_-
        Però i CSI sono quasi riusciti ad uscire dall’essere fenomeni di nicchia. Onde per cui … Comunque il successo di ZC spero che abbia pianopiano una ricaduta su tutto il sistema fumetto italiano.
        Grazie & buon lavoro
        Saluti
        G.

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